16 Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete». 17 Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». 18 Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire». 19 Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? 20 In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. 21 La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. 22 Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. 23 Quel giorno non mi domanderete più nulla. In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. 24 Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena.
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Nelle Parole che oggi ci regala il Signore ci conferma e illumina ancora una volta la notizia della sua Pasqua attraverso tre immagini: il non vederlo e il vederlo al vers.16-20; il dolore e la gioia del parto ai vers.21-22; la preghiera nel suo (di Gesù) nome ai vers.23-24.
Il non vederlo sarà fonte di dolore mentre di questo il mondo si rallegrerà; ma la tristezza dei discepoli si cambierà in gioia quando, dopo il breve tempo della sua morte, essi potranno vederlo. Giovanni usa due verbi diversi per il “non vederlo ” della sua morte e il “vederlo” nella sua risurrezione, un “vederlo”, quest’ultimo, di ben diversa profondità e luminosità. L’espressione “un poco” ha la funzione di sottolineare la brevità del tempo, credo rispetto alla definitività della visione e della gioia finale.
La seconda immagine, quella del parto, si presenta in continuità con il dolore-tristezza del tempo breve della sua morte. Il dolore dei discepoli viene paragonato ai dolori del parto. Dunque ad un dolore non piegato verso la morte, ma verso la vita, la nascita! E’ la grande affermazione della “positività” del dolore come grembo della gioia. Del dolore come fecondità e principio della vita nuova. E’ molto forte anche la presenza, al ver.21, di quel “non si ricorda più della sofferenza” che vuole esaltare la gioia messianica pienamente realizzata e donata dalla Pasqua di Gesù.
Infine il volto nuovo della preghiera. La preghiera dei discepoli fatta nel nome di Gesù. La preghiera dei discepoli come la preghiera del Figlio. La preghiera dei discepoli come figli di Dio. E quindi la pienezza della gioia nella comunione con il Padre e il Figlio nello Spirito Santo.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
L’immagine del parto è oggi dalle parole del Signore riferita alla esperienza dei discepoli. E’ forse anche possibile peraltro riferirla al Signore stesso, che ha detto essere ormai giunta la sua ora. E questo suo dolore genera l’umanità nuova. Dunque, l’immagine di oggi si può leggere nel quadro dell’invito alla grande unità e comunione che riceviamo da questi capp. per dire che anche i discepoli partecipano a questo evento di rigenerazione. La loro parte è quella di elevare una grande supplica affinchè sia Dio ad operare. “Chiedete e vi sarà dato, perchè la vostra gioia sia piena!” E’ oggi descritta l’esperienza degli apostoli che, dopo la morte di Gesù, erano in lutto e in pianto. E il Signore si fa presente a loro, ed essi gioiscono nel vedere il Signore risorto. E forse l’immagine si può estendere a tutti i dolori di tutti i tempi. E il Signore rassicura che l’ultima parola sarà la gioia, perchè il dolore si trasformerà in gioia. E “nessuno vi toglierà la vostra gioia!”. L’immagine della donna nel parto è molto bella: è una immagine che contrasta con quella che è l’esperienza più consueta del dolore umano, cioè quella descritta dal sogno del faraone, dove le sette vacche magre divorano e fanno dimenticare i sette anni di prosperità. Invece al dolore del parto si sostituisce la gioia della vita nuova, che fa dimenticare il dolore passato.
1. Per capire più facilmente i primi versetti (“Un poco e non mi vedrete, e ancora un poco e mi vedrete…”) è utile sottolineare quello che don Giovanni dice dei due verbi: il primo “vedere” (in greco, teoreo) intende la visione fisica, mentre il secondo (in greco, orào) indica un vedere interiore, spirituale. Un traduttore ha reso così questa differenza: “Un poco e non mi vedrete, e ancora un poco e mi percepirete”: quest’ultima è l’esperienza del Signore risorto. – 2. L’immagine della partoriente è riferita nei profeti alla nascita di Israele come popolo di Dio: ora, dalla Pasqua di Gesù, nasce il popolo nuovo dei suoi figli, senza limiti e confini. – 3. Chiedere nel nome di Gesù: l’abbiamo risolto mettendo alla fine di ogni preghiera “per Cristo nostro signore”! In realtà, “nel nome di qualcuno” vuol dire assomigliandogli e quindi rappresentandolo. Un bel compito…, ma la gioia-felicità è garantita.
Ciò che non hai potuto ricevere subito per la tua debolezza lo riceverai in seguito per la tua perseveranza. Se vuoi che la tua preghiera non sia come quella dei pagani interponi la meditazione di Gesù che ti dà la certezza di essere esaudito (Eb 4,14; Gv 16,24)