44 Gesù allora esclamò: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; 45 chi vede me, vede colui che mi ha mandato. 46 Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. 47 Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. 48 Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. 49 Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. 50 E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».
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Sembra talvolta di incontrare, lungo il grande, quotidiano pellegrinaggio nella Parola di Dio, una “sintesi” divinamente capace di raccogliere tutto, tutta la perla preziosa che ci cerca e che noi cerchiamo, il tesoro che ci trova e che noi troviamo. Questa è la mia commossa reazione davanti a quello che la bontà del Signore ci regala oggi, a conclusione di Giovanni 12. Per questo credo che il traduttore italiano avrebbe fatto bene a rispettare la scelta dell’Evangelista che ci riferisce parole “gridate” da Gesù. La precedente traduzione diceva “gridò a gran voce”. Ma al ver.44 si dice addirittura “Gesù dunque gridò e disse”, dove, separando il gridare dal dire, si mette ancor più in evidenza il “grido” di questa Parola.
Ed è dono speciale del quarto Evangelista dare un rilievo privilegiato al legame tra credere e vedere, tra la fede e la luce. Qui dunque, ai vers.44-46, la successione “chi crede in me”(ver.44)-“chi vede me”(ver.45)-“non rimanga nelle tenebre”(ver.46). Ormai sappiamo bene che non bisogna “vedere per credere”, ma appunto “credere per vedere”. Gesù è la luce!(ver.46). Mi sembra sia necessario rettificare il cammino secolarmente proposto di una specie di marcia verso la fede attraverso una sequenza di “evidenze”. E’ la fede il principio di un vedere nuovo e profondo della profondità di Dio stesso. Attentato alla ragione? No certo! Ma regalo alla ragione perchè possa…ragionare di più. Un non-credente sincero e appassionato sa bene quanto sia incatenante una ragione non illuminata. Gesù appunto dice oggi: “Io sono venuto nel mondo come luce”(ver.46).
I vers.47-48 ricordano la severità del giudizio espresso dalla mitissima Parola del Signore. Ricordate il tremendo silenzio del povero così vicino alla mensa del ricco in Luca 16,19-31? Lazzaro non grida, non protesta, non supplica. C’è dunque un “silenzio” della Parola, ed è per chi “ascolta e non custodisce”, cioè non dà spazio, non accoglie, ma ascolta come si ascolta tutto il resto, appunto ascolta senza la luce della fede. O più radicalmente, dice Gesù “chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole”. E’ la Parola stessa a giudicare: “la Parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno”. Lazzaro, ti chiedo di gridare, perchè il ricco distratto e stolto che sono io possa risvegliarsi dal suo torpore mortale. E’ Gesù il Lazzaro che grida, come abbiamo visto all’inizio del nostro brano.
E in tutto questo avete osservato la grandiosità divina di questa relazione tra Gesù e il Padre che lo ha mandato. Proprio perchè è “piccolissimo” – non è in Lui che “si crede”(ver.44), non è Lui che si vede (ver.45), e quindi non sarà Lui a condannare – proprio per questo Gesù è perfetta trasparenza del Padre. Proprio per questo Gesù è purissimo dono di salvezza: “..non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo”. Per questo, mi sembra, la gioia cristiana è inevitabilmente intrecciata con il dolore: il mite Signore obbediente e umile sino alla Croce è lo straziante giudizio di una Parola non ascoltata e non accolta. E tutto è avvolto e riportato ad una speranza sempre più grande dalla perfetta comunione d’amore tra Gesù e il Padre.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
In queste parole proclamate ad alta voce Gesù raccoglie tutto che precede, che ha detto e fatto; e aprono ai capp. successivi, e al cap. 13, dove si avrà l’espressione di questa parola nella lavanda dei piedi. C’è una parola oggi: “so”, “So che il suo comando è vita eterna” (v.50); che ritornerà per due volte anche nel brano della lavanda: “Gesù sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre”, e “sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani”. E domani, per questo “sapere/conoscere” farà quell’atto di “amore fino alla fine”. E questa cosa della parola che è vita eterna è come una spiegazione di quello che Pietro gli aveva risposto al cap. 6: “Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!”. Gesù oggi risponde, conferma e spiega quel detto: La sua parola è vita eterna perchè è tutta collegata al comando del Padre, che è un comando di vita eterna; c’è un legame assoluto con il Padre, attraverso il suo comando, la sua parola che è vita eterna. C’è in questo anche un richiamo molto forte con l’inizio della Scrittura dove c’era un comando che era stato disatteso, e ciò aveva portato morte; qui c’è un comando che porta vita. La realtà profonda del comando è la vita eterna, che in qualche modo rimbalza su di noi attraverso Cristo, che ha avuto con tale comando ( e con il Padre) un rapporto perfetto. Ci chiediamo dove sia la differenza tra le parole del v. 47: “Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno, perchè non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo”, e il v. 48: “Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziata lo condannerà…”. Frasi che sembrano in contraddizione. E’ un discorso anche severo quello che Gesù oggi fa. Nessuno che abbia ascoltato le parole di Gesù può considerarsi fuori dal “problema Gesù” e rimanervi indifferente. Il giudizio, che è vita eterna, rimane come prospettiva. La vita è una prospettiva di amore, e non si può tranquillamente ritenere che questo messaggio non contenga una offerta per ciascuno singolarmente. La parola “Chi mi respinge…” del v. 47 in questo contesto è degna di nota. Il suo significato contiene l’idea di “rendere o considerare vano, inutile, qualche cosa; annullare una parola, un precetto, una legge; rifiutare il consenso a qc, qcn”. E ha uno stretto parallelo con l’uso che l’autore di Ebrei fa nel cap 10:28 (e con tutto il contesto immediato di quel v.): “quando qualcuno ha violato (è questa stessa parola) la legge di Mosè, viene messo a morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni. Di quanto maggior castigo allora pensate che sarà ritenuto degno chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel sangue dell’alleanza dal quale è stato un giorno santificato e avrà disprezzato lo Spirito della grazia?”. Dove tali parole sono rivolte a chi evidentemente ha ascoltato e conosciuto la parola, il sangue dell’alleanza e l’azione della grazia (come in fondo è anche per il brano di oggi, perchè Gesù “grida” le sue parole nel Vangelo a noi che lo ascoltiamo, essendosi già “ritirato e nascosto dalle folle”). Il rischio è proprio l’indifferenza davanti al dono di Dio che è Gesù, o il rifiuto di ricevere da Lui la grazia e la vita, cioè il suo amore. E sembra quindi di poter intendere che Gesù non ci giudicherà su mancanze contro singoli precetti, puntigliosi atteggiamenti morali, questa o quella osservanza; ma il giudizio sarà severo se avremo trattato con indifferenza, o dato poco valore all’amore e alla vita luminosa che Gesù ci ha ottenuto.