11 Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12 Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13 perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
14 Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15 così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16 E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17 Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
19 Sorse di nuovo dissenso tra i Giudei per queste parole. 20 Molti di loro dicevano: «È indemoniato ed è fuori di sé; perché state ad ascoltarlo?». 21 Altri dicevano: «Queste parole non sono di un indemoniato; può forse un demonio aprire gli occhi ai ciechi?».
La Parola di Dio che riceviamo oggi in dono esalta un elemento fondamentale della fede e della sapienza ebraico-cristiana: la relazione! Il primato quindi del legame tra le persone. I vers.11-12 sottolineano la diversità della relazione con le pecore da parte del pastore e del mercenario. A quest’ultimo “non importa delle pecore” perchè egli non è il loro pastore e le pecore non sono sue. Il pastore è “buono” – bontà espressa con il termine che significa anche, e primariamente, “bello” – per la sua relazione con le pecore che egli esprime a livello supremo “ponendo la sua vita” per loro.
La fonte e il modello della relazione tra il pastore Gesù e noi sue pecore è la relazione che Gesù ha con il Padre. E’ una relazione di conoscenza inscindibile dalla relazione d’amore: conoscere e amare nella lingua della Scrittura sono inscindibili! Siamo ben lontani dalla “conoscenza” come è concepita dalla grande filosofia classica, dove la “conoscenza” è la fonte del discrime tra amore e indifferenza, odio, inimicizia, disprezzo…Riflettiamo di quale rilievo sia il fatto che la relazione, e quindi la comunione d’amore, sia più forte di ogni evento, anche il più negativo e aggressivo nei confronti della comunione stessa. La conoscenza del Padre e del Figlio qualifica e sostiene la relazione tra Gesù Cristo e noi, al punto che Egli dà la sua vita per le pecore non perchè queste se lo meritino, ma se mai proprio perchè sono lontane e addirittura nemiche del pastore. Al punto che Gesù pone la sua vita per i suoi uccisori.
La storia della salvezza e la fede di Israele sono immagine, profezia e annuncio della relazione e della salvezza che, nel Figlio, Dio stabilisce con l’intera umanità: “Ho altre pecore che non provengono da questo recinto…”(ver.16); ricordiamoci che “recinto” è nella lingua delle Scritture il termine che definisce il cortile del tempio di Gerusalemme: da Gerusalemme ai confini della terra deve essere portata la buona notizia dell’amore di Dio e del suo disegno universale di salvezza. Eventi e realtà che si compiranno non perchè le pecore sono buone, ma perchè buono è il pastore che dà la vita per loro.
I vers.17-18 affermano la reciprocità e il mirabile rimando tra la relazione che unisce il Padre e il Figlio e quella che unisce il Figlio con l’umanità. Dicevamo che la relazione tra Padre e Figlio è la fonte e il modello. Qui si dice che la relazione del Figlio con noi è ragione dell’amore del Padre verso il Figlio: “Per questo il Padre mi ama…”(ver.17). Proprio perchè è amore, questa relazione che porta il Figlio a dare la vita e a riprenderla di nuovo deve essere assolutamente libera: “Nessuno me la toglie: io la do da me stesso”. Da Gesù in poi non si muore più: si dà la vita! Il ver.18 sottolinea questo definendolo nello stesso tempo “potenza” del Figlio e “precetto” ricevuto dal Figlio da parte del Padre!
A queste affermazioni non si può non reagire. E il dissenso che esse suscitano tra i Giudei è assoluto, senza mezzi termini: o Gesù è quello che dice di essere nella sua relazione con il Padre e con noi, oppure è un demonio. E il termine “demonio” definisce il grado supremo dell’autoidolatria, e quindi la suprema negazione del vero Dio.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Come siamo lontani dall’immagine del “buon pastore”! Gesù è il pastore “il bello”: il termine si può intendere in questo caso come “l’eccellente, l’esclusivo”. La sua caratteristica è quella di dare la vita… – I vv. 14-15 ci fanno toccare un vertice inimmaginabile: se lo prendessimo sul serio, ci sarebbe da “andare giù di testa”. Quale è la conoscenza, cioè l’unione intima, la relazione d’amore, tra il Padre e il Figlio, la stessa unione sponsale c’è tra Gesù e noi… – Il v. 16 è stato fondamentale nella storia della Chiesa: “un solo gregge, un solo pastore” era tradotto nella Vulgata come “un solo ovile e un solo pastore”. L’unico ovile non poteva essere che la chiesa cattolica… Non sto a ricordare le conseguenze… Gesù invece dice una cosa eccezionale: siamo una unità con Lui, di qualunque recinto si sia; si potrebbe rendere l’idea traducendo un-gregge-un-pastore”, senza congiunzioni e senza virgole.