16 Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete». 17 Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». 18 Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire».
19 Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? 20 In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.
21 La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. 22 Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. 23 Quel giorno non mi domanderete più nulla.
In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. 24 Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena.
Giovanni 16,16-24

La Parola che oggi il Signore ci regala ci porta dentro quello che possiamo chiamare “il mistero del tempo”. Le sapienza mondane tendono a concepire il tempo come una ruota che gira su se stessa, senza che vi sia mai qualcosa di veramente nuovo, perché tutto incessantemente si ripete. La fede ebraico-cristiana concepisce il tempo come una strada, un cammino, che è attesa di eventi di liberazione e di salvezza: attesa dei tempi messianici, della pienezza del dono di Dio. I discepoli non capiscono le parole di Gesù circa ”un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete”(ver.16). Gesù li soccorre con una prima spiegazione: pianto dei discepoli e allegrezza del mondo; e la tristezza dei discepoli mutata in gioia: così al ver.20.
E poi l’illuminazione successiva con l’immagine della donna partoriente: il dolore “perché è venuta la sua ora”(ver.21) e quindi la gioia perché “è venuto al mondo un uomo”, gioia che fa dimenticare la sofferenza di prima. Si avvicina l’ora della Pasqua di Gesù, ora di pianto e di gioia: dal dolore della Croce alla gioia della Risurrezione. Quest’ “ora” diventa il cuore interpretativo di ogni vicenda e di ogni condizione, e si pone come sorgente di ogni pensare e di ogni agire del credente. E’ il riscatto e il volto nuovo del dolore, come “dolore del parto”. Dolore proteso non più verso la morte, ma verso la vita. Ma i due “tempi”, quello del dolore e quello della gioia, sono del tutto intrecciati tra loro: il dolore come grembo della gioia, e la gioia come frutto del dolore. Non solo quindi una successione temporale, ma anche una “com-presenza”, per la quale l’uno non è mai senza l’altro, anche se la gioia promessa è tale, da far “non più ricordare la sofferenza”, come dice il ver.21.
I vers.23-24 interpretano la Pasqua di Gesù come il grembo che genera i figli di Dio, coloro che chiedono al Padre “nel nome” del Figlio, come figli! E dunque, dice Gesù: “se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà … Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena”.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.