1 Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu sdegnato. 2 Pregò il Signore: «Signore, non era forse questo che dicevo quand’ero nel mio paese? Per questo motivo mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore e che ti ravvedi riguardo al male minacciato. 3 Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!». 4 Ma il Signore gli rispose: «Ti sembra giusto essere sdegnato così?».
5 Giona allora uscì dalla città e sostò a oriente di essa. Si fece lì una capanna e vi si sedette dentro, all’ombra, in attesa di vedere ciò che sarebbe avvenuto nella città. 6 Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di ricino al di sopra di Giona, per fare ombra sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande gioia per quel ricino.
7 Ma il giorno dopo, allo spuntare dell’alba, Dio mandò un verme a rodere la pianta e questa si seccò. 8 Quando il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un vento d’oriente, afoso. Il sole colpì la testa di Giona, che si sentì venire meno e chiese di morire, dicendo: «Meglio per me morire che vivere».
9 Dio disse a Giona: «Ti sembra giusto essere così sdegnato per questa pianta di ricino?». Egli rispose: «Sì, è giusto; ne sono sdegnato da morire!». 10 Ma il Signore gli rispose: «Tu hai pietà per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita! 11 E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?».
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Mi sembra che il dispiacere e lo sdegno di Giona trovino la loro causa profonda e vera nello sdegno che invade il fratello maggiore della parabola di Luca 15. E’ lo sdegno per la misericordia di Dio, che non conosce limiti e che non mette condizioni. Neppure quella condizione del “pentimento” che le note delle nostre bibbie sottolineano. Qui certo un pentimento c’è stato, ma non vi si è colto in esso alcuna nota di dolore. Anche coperti di sacco e cenere i niniviti sembravano solo immersi nel volto nuovo e luminoso della loro vita. Quindi non mi sembra corretta neppure la nota che propone che Giona si è messo fuori dalla città per assistere alla distruzione di essa. Il suo è l’isolamento dello sdegno che assiste all’esito della sua predicazione troppo presto accolta! Giona rivendica di essere “esperto” di tale insopportabile misericordia e per questo ha tentato di fuggire dal Signore che gli chiedeva di essere strumento e annunciatore di essa (ver.2). Giona sa che il Signore è “di grande amore” e che quindi addirittura “si ravvede” riguardo al male che minaccia. Allora, conclude Giona, meglio morire!! In questo mondo non c’è giustizia, se Dio è così! E Giona resiste amaramente anche al rimprovero che Dio gli rivolge al ver.4.
Ed ecco allora lo “scherzo” insieme ironico e severo che Dio dispone per lui. Ma, come vedremo, rivelatore di un’ancor più sorprendente nota di Dio stesso. La pianta che lo ripara dal sole rallegra Giona (ver.6), che si riempie di sdegno quando in breve questa si secca per il verme mandato da Dio a roderla (ver.7). Giona colpito dal terribile caldo arriva a desiderare di morire (ver.8).
I vers.9-11 confrontano il passaggio dalla gioia allo sdegno e al dolore di Giona per il ricino seccato con la pietà di Dio per la condizione di Ninive e per il suo destino di distruzione e di morte. Il dolore di Giona per la breve vita di una pianta non regge il confronto con la pietà divina per la condizione e la sorte di quell’immensa città e per tutti i suoi abitanti. Abitanti che sono prigionieri e schiavi della loro condizione, al punto di non saper “distinguere fra la mano destra e la sinistra”, condizione che stravolge anche tutto quello che li circonda, compresi gli animali. E qui si affaccia, implicitamente suggerita, una considerazione ulteriore. La preziosità che era per Giona l’ombra recategli da quella pianticella, suggerisce quanto per Dio sia preziosa la vita e la sorte di quella grande città pagana. Ninive sembra essere molto preziosa per Dio, quasi Lui ne avesse bisogno!
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
“Giona ne provò grande dispiacere”(v.1): ed è ciò che proviamo talvolta anche noi, quasi che il bene degli altri ci privi di qualcosa. Don Giovanni ha pensato al figlio maggiore della parabola di Lc 15; a me sono venuti in mente gli operai della vigna il cui padrone aveva trattato troppo generosamente gli ultimi arrivati. A questo punto Giona ci dà una stupenda definizione di Dio, ricorrente in altri testi dell’Antico Testamento: “un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore” e capace di “ravvedersi” se ha minacciato un qualche male. Nella persona di Gesù queste qualità sono state portate all’estremo. Nel seguito del brano si dice che Dio fa crescere una pianta di ricino, manda il verme a rodere le radici, fa soffiare lo scirocco “che stanca”…: pur trattandosi di un racconto parabolico, mi piace l’idea che Egli operi in tutto e ovunque. Del resto, non è vero che non cade un passero a sua insaputa? Nella volontà di salvezza di Dio verso gli stolti niniviti, sono compresi – ancora una volta – tutti gli animali(v.11).