2,1 Ma il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. 2 Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore suo Dio 3 e disse:
«Nella mia angoscia ho invocato il Signore
ed egli mi ha esaudito;
dal profondo degli inferi ho gridato
e tu hai ascoltato la mia voce.
4 Mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare
e le correnti mi hanno circondato;
tutti i tuoi flutti e le tue onde
sono passati sopra di me.
5 Io dicevo: Sono scacciato
lontano dai tuoi occhi;
eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio.
6 Le acque mi hanno sommerso fino alla gola,
l’abisso mi ha avvolto,
l’alga si è avvinta al mio capo.
7 Sono sceso alle radici dei monti,
la terra ha chiuso le sue spranghe
dietro a me per sempre.
Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita,
Signore mio Dio.
8 Quando in me sentivo venir meno la vita,
ho ricordato il Signore.
La mia preghiera è giunta fino a te,
fino alla tua santa dimora.
9 Quelli che onorano vane nullità
abbandonano il loro amore.
10 Ma io con voce di lode offrirò a te un sacrificio
e adempirò il voto che ho fatto;
la salvezza viene dal Signore».
11 E il Signore comandò al pesce ed esso rigettò Giona sull’asciutto.

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Vi comunico qualche pensiero che la preghiera mi ha lasciato nella testa e nel cuore. Tutto è viziato dalla mia soggettività malata, sempre molto occupata e preoccupata nel chiedersi come potrà evitare d’essere troppo priva di fede nel momento-tempo della passione e della croce. In ogni modo, provo a dire che cosa mi sembra voglia dire questo grande pesce. Penso sia la misteriosa e nascosta protezione che Dio dispone – così ricevo il ver.1 – per i suoi figli quando li porta verso la Pasqua di Gesù, dove sembra di doversi perdere nella morte, e basta.
Qui nasce il problema di cogliere dove si consuma questa esperienza di morte. Per questo vorrei trattenere nel suo significato letterale più immediato la parola del ver.3:”Nella mia angoscia…” che nel testo ebraico e nella versione latina è “Dalla mia angoscia…”. Quindi non penso si riferisca all’evento puntuale della morte, ma all’evento di angoscia, a quell’agonìa del Getsemani che accompagna tutta l’esistenza umana. E’ la grande esperienza del “profondo degli inferi”(ver.3), dell’ “abisso” e del “cuore del mare”(ver.4); si tratta di quelle “radici dei monti” e di quella terra che “ha chiuso le sue spranghe dietro a me per sempre”(ver.7). Ed è quello che fa dire che tutti questi orrori “mi hanno circondato…sono passati sopra di me “(ver.4), io sono stato “sommerso fino alla gola”, e “l’abisso mi ha avvolto, l’alga si è avvinta al mio capo…”(ver.7).
Però, e questo è l’evento di salvezza, “nella mia angoscia ho invocato il Signore ed Egli mi ha esaudito”. Questo dice che dunque quell’abisso cupo non è senza fondo; io lo vivo come perdutezza senza fine, ma invece…è “il ventre del pesce”! Quell’angoscia di morte che vivo come senza fondo e senza fine è “controllata” da Dio, è “limitata” entro i confini pure se immensi del ventre del pesce. Mi permetto la licenza di dire che quel pesce è Gesù, la sua Pasqua di morte e di risurrezione, “tre giorni e tre notti”, il “segno di Giona” appunto. Si muore in Lui, per risorgere con Lui! In questa angoscia non ci sono sconti, ma Lui è presente e avvolge di Sè la nostra morte.
Mi sembra che il ver.8 sia il punto in cui la nostra vicenda di morte s’incontra con Lui:”Quando in me venne meno la mia vita – non come dice in italiano “in me sentivo venir meno…” – ho ricordato il Signore”. E’ il Signore che si affaccia alla mia vita nel momento della morte. Per questo, quasi a titolo della sua preghiera, Giona diceva al ver.3:”…ho invocato il Signore ed egli mi ha esaudito”. Per questo motivo sono portato a pensare che l’affermazione del ver.5 non debba porsi con il punto interrogativo – a meno che non sia per descrivere ulteriormente la potenza totalizzante dell’angoscia di morte – ma con l’assurdo meraviglioso di un punto esclamativo.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
La preghiera di Giona miracolosamente arriva dagli abissi, supera i flutti, emerge dalle valli della solitudine e raggiunge Dio, fino alla sua dimora! Nel rumore della tempesta Dio ascolta proprio la sua voce! E Giona sembra esserne consapevole fin da subito (v.3). Ha invocato il Signore e egli lo ha esaudito.
La preghiera, la nostra preghiera, anche dall’abisso più profondo è uno strumento efficacissimo per arrivare direttamente a Dio. E questa comunicazione (forse desiderata, voluta, indotta, suscitata da Dio stesso) permette a Giona di diventare un uomo nuovo. Il suo rapporto con Dio cambia totalmente. Da fuggitivo a servo fedele.
Mi è piaciuto il finale dove il nuovo Giona dice: “con voci di lode di offrirò a te un sacrificio…”. Infatti nel pesce ci sta solo tre giorni. Tutto il resto della sua vita e delle sue forze potrà usare la sua voce per la lode pura di Dio!
E’ quello che succede al paralitico guarito di At 3,1-1o che non solo cammina ma, entrando nel tempio, salta e da lode a Dio. La sua voce che prima serviva per chiedere l’elemosina alla gente ora è tutta dedicata a Dio!
Solo chi ha conosciuto le “profondità” è in grado di comprendere quelle di altri che vivono le sue stesse condizioni. Sono le profondità scavate dalle prove che attraversiamo che ci aiutano a capire meglio la via di Dio per noi e ci fanno essere miserciordiosi verso gli altri. Le persone “profonde” sono coloro che hanno sofferto ma che sono risorte!