21 Pietà, pietà di me, almeno voi, amici miei, perché la mano di Dio mi ha percosso! 22 Perché vi accanite contro di me, come Dio, e non siete mai sazi della mia carne? 23 Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero in un libro, 24 fossero impresse con stilo di ferro e con piombo, per sempre s’incidessero sulla roccia! 25 Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! 26 Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. 27 Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro. Languisco dentro di me. 28 Voi che dite: “Come lo perseguitiamo noi, se la radice del suo danno è in lui?”, 29 temete per voi la spada, perché è la spada che punisce l’iniquità, e saprete che c’è un giudice».
Giobbe 19,21-29

COMMENTO
E’ mirabile come si intreccino strettamente tra loro il cammino profondo di passione del discepolo del Signore e la violenza con la quale egli viene assalito. Quando al ver. 21 Giobbe supplica gli amici di avere pietà di lui, egli ne rileva anche l’origine: è “la mano di Dio” che “mi ha percosso”! Coloro che si accaniscono contro di lui sono in realtà emissari dell’accanimento divino nei suoi confronti. Giobbe è consapevole di questo e dice: “Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!”. Tuttavia (ver. 26) resta che Giobbe è la vittima di una violenza: Dunque si intrecciano tra di loro l’offerta che egli fa della sua vita e la violenza scatenata contro di lui. Tutto questo non sfuggirà al giudizio di Dio, anche se ora si manifesta così ingiustamente e violentemente. A questo proposito, è interessante la domanda che i suoi assalitori si pongono al ver. 28: “Come lo perseguitiamo noi, se la radice del suo danno è in lui?”.
Dio ti benedica e tu prega per noi. Giovanni e Francesco