13 Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia, salmeggi. 14 Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. 15 E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati. 16 Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza. 17 Elia era un uomo della nostra stessa natura: pregò intensamente che non piovesse e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi. 18 Poi pregò di nuovo e il cielo diede la pioggia e la terra produsse il suo frutto. 19 Fratelli miei, se uno di voi si allontana dalla verità e un altro ve lo riconduce, 20 costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore, salverà la sua anima dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati.
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Dopo averci condotto attraverso le vicende, le fatiche e le luci della vita cristiana, e averci ammonito e incoraggiato lungo la strada del grande incontro tra la Parola di Dio e la storia ferita e povera della nostra umanità, oggi la lettera di Giacomo ci congeda affettuosamente con un’ultima esortazione alla preghiera e alla reciproca vigilanza nell’amore.
Il ver.13 indica la preghiera come l’irrinunciabile angelo del nostro cammino della vita. E’ il grande sostegno nel tempo del dolore e l’accompagnamento necessario e fecondo nelle vicende gioiose dell’esistenza.
Nel tempo delle prove più difficili, come è la malattia, diventa provvidenziale il soccorso della preghiera degli anziani della comunità. Accompagnata dall’unzione con l’olio segno dello Spirito, tale preghiera agisce in due direzioni: una terapeutica verso il corpo, l’altra interiore per il perdono dei peccati. Mi permetto un piccolo commento personale, di per sè non contenuto nelle parole che oggi il Signore ci regala: il perdono dei peccati consente al malato, qualunque sarà l’esito della sua infermità, una celebrazione semplice e piena della Pasqua di Gesù attraverso il patimento della malattia; e mi sembra si debba dire che, liberata dal male del peccato, la persona è finalmente libera di celebrare luminosamente in se stessa la passione e la gloria del Signore.
E’ molto bello e importante il ver.16 con il suo invito ad una fraterna e reciproca consegna dei propri peccati e alla preghiera gli uni per gli altri. In questo modo l’infermità di uno diventa la preghiera pasquale anche degli altri.
La forza della preghiera non dipende da particolari condizioni o privilegi . Anche Elia era un uomo come tutti gli altri, senza speciali comoscenze, o poteri, o virtù. Eppure la forza della sua preghiera ha guidato i fenomeni stessi della natura perchè i cuori potessero essere condotti al pentimento e alla conversione.In questi vers.17-18 Giacomo fa memoria della vicenda di Elia riportata da 1Re,17-18.
E questo lo porta alla conclusione luminosa della Lettera ai vers.19-20. La sollecitudine fraterna e affettuosa con la quale molti hanno tante volte soccorso la mia desolata condizione di peccatore, per ricondurmi alla luce del Vangelo, sarà premiata dal Signore con la salvezza delle loro anime e il perdono dei peccati. Vi ringrazio di cuore per questa strada fatta insieme nella Lettera di Giacomo: l’ho iniziata in Spagna durante il Camino di S.Giacomo di Campostela, e la terminiamo oggi nell’attesa del Giorno dei Santi fra tre giorni.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Ultime righe dal commento del card. LERCARO, dedicate al v. 13:
C’è qualcuno in tristezza tra voi? “Preghi” – dice Giacomo: – “Oret”. E nella parola brevissima è ricordato in compendio tutto il molteplice insegnamento, – esortazioni, parabole, gesta, – onde è ricco l’Evangelo. Preghi chi è triste; come gli Apostoli tra l’infuriare della tempesta sul Lago: “Signore, salvaci, chè siamo perduti!” – come la donna cananea nel tormento del suo cuore materno: “Signore, abbi pietà di me…; anche i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla mensa dei loro padroni!” – come le sorelle di Lazzaro di fronte alla possibilità di perdere – povere donne! – l’unico appoggio: “Signore, ecco che colui che tu ami sta male!…” – come il pubblicano al Tempio nella confusione di una vita di colpa: “Signore, abbi pietà di me peccatore!” Preghi, ricordando al Padre la promessa di Gesù: “Qualunque cosa chiederete al Padre in mio nome ve la darà”.
Voi mi siete testimoni, o Cristiani, che la preghiera porta nell’anima tal senso di fiduciosa rassegnazione, tale forza sovrumana, tale, anche, intima consolazione che, ancor quando non allontana da noi il calice doloroso, sempre lo rende meno amaro, fino a farci provare con Paolo una sovrabbondanza di gioia in mezzo alle tribolazioni…
E allora, quando l’animo… è tranquillo e sente nell’intimo suo una pace che niun potere al mondo può rapirgli, allora sgorga dal cuore il canto; il canto cristiano che è presagio e anticipazione del canto eterno dei Cielo: “Aequo animo est?” – chiede San Giacomo; – “è tranquillo, meglio, è lieto alcuno tra voi?” – “Psallat”: “Canti!”
Il canto dei fedeli: è la voce della tortorella: vox turturis audita est…; è il coro che riassume le infinite voci della terra e le armonizza colle infinite voci del Cielo….
Più volte in tutta la lettera Giacomo ha chiamato i destinatari fratelli, fratelli miei. Tutto, anche i rimproveri più severi, li abbiamo sentiti inclusi in questa fraternità, nel desiderio di Giacomo che i suoi fratelli custodissero il dono di salvezza ricevuto e crescessero in esso. Queste parte finale della lettera è la conferma e il sigillo di questo. Vengono presentate diverse condizioni, ma per tutte vi è l’esortazione alla preghiera. Nei passi precedenti Giacomo aveva messo al centro la Parola. Questa parola ricevuta la possiamo restituire a Dio per mezzo della preghiera, perchè per essa Dio operi potentemente per la vita nostra e dei nostri fratelli. Nel testo di oggi “fare la parola” assume il significato di celebrare il mistero pasquale nell’orizzonte della nostra vita e della comunità dei fratelli. L’insistenza alla reciprocità nasce dalla consapevolezza di essere tutti nella stessa condizione di peccatori/malati. Quindi tutti nella necessità dell’aiuto del fratello e nello stesso tempo nel dovere e nella possibilità, nel Signore, di aiutare il fratello. La preghiera è l’ambito privilegiato di questa reciprocità. E’ l’alternativa di quel “diventare molti maestri” stigmatizzato da Giacomo al cap. 3 come motivo di un giudizio più severo “perchè tutti manchiamo in molte cose”. Gli ultimi versetti possono fare venire in mente la ricerca della pecora smarrita della parabola, e forse vanno pensati nella stessa intensità (lasciare le 99, intraprendere la strada dietro quella perduta, trovarla, mettersela sulle spalle…). Siamo cioè fatti reciprocamente partecipi di questa ricerca appassionata del fratello che forse è sempre la via paquale dell’offerta d’amore. Il Signore ci dà ogni giorno per mezzo della liturgia l’occasione e la possibilità di confessare reciprocamente i nostri peccati e di affidarci alla preghiera dei nostri fratelli, sia quelli che partecipano alla liturgia del cielo, che quelli che camminano con noi in questa vita.
L’invito alla preghiera è per tutti! Per quelli nel dolore, per quelli nella gioia, per i malati, per i peccatori. Sono coinvolti tutti gli uomini, in qualunque condizione si trovino. Preghiera.
Ma unita a questa c’è la parola “peccati”. La preghiera è l’azione comunitaria dei fratelli, insieme, rivolta al Signore per guarire dal peccato e dalla morte. Nessun uomo è esente dal peccato. E nessuno può fare a meno del conforto, della partecipazione, della vicinanza dei fratelli.
Anche me è sembrata una conclusione molto emozionante e forte della lettera di Giacomo!