18 Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede. 19 Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano! 20 Ma vuoi sapere, o insensato, come la fede senza le opere è senza valore? 21 Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull’altare? 22 Vedi che la fede cooperava con le opere di lui, e che per le opere quella fede divenne perfetta 23 e si compì la Scrittura che dice: E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu chiamato amico di Dio. 24 Vedete che l’uomo viene giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede.
Penso che il verbo “mostrare” presente due volte al ver.18 – “..mostrami la tua fede…ti mostrerò la mia fede” – debba essere inteso in modo forte, non solo come una prova e una verifica, ma come concreto “evento” della fede. E mi sembra che questo sia confermato dai due esempi portati da Giacomo: quello dei demoni e quello di Abramo.
Il ver.19 stabilisce lo stretto rapporto che può verificarsi tra “sapere” e “demonicità, peccato, male”. L’affermazione è molto interessante anche per la sua attualità nel dibattito circa la presunta “libertà” della “ricerca pura” nell’orizzonte della scienza. Tale libertà oggi comincia ad essere seriamente contestata, perchè viene affermato con molta determinazione che la prova delle finalità della ricerca scientifica viene svelata dalla fonte economica della ricerca stessa. Se per esempio a finanziare la ricerca è il potere e l’apparato militare, è inevitabile porre un dubbio serio sulla “purezza” di quella ricerca. E per questo le fonti bibliche sono molto potenti ed abbondanti: esiste una “scienza” demoniaca che è intrinsecamente cattiva e va respinta, e Gesù stesso la respinge; sappiamo come Egli zittisca con durezza (ad esempio in Matteo 8,29) le grida dei demoni che lo sanno e lo dicono “Figlio di Dio”. Una fede che venisse concepita come un puro “sapere” – sapere per esempio che Gesù è il Figlio di Dio – non sarebbe fede! La fede infatti esige un assenso-coinvolgimento di tutta la persona e di tutta la sua vita. E’ una vita veramente e assolutamente “nuova”. E’ la vita di Dio in noi. Come tale è assolutamente “dono” di Dio.
Per l’esempio di Abramo dei vers.21-23 mi permetto di contestare due punti della versione italiana. Uno è quel “senza valore” del ver.20, dove il testo dice, alla lettera, che “la fede senza le opere è inoperosa”, cioè non solo non vale niente, ma più profondamente, non si dà! L’altro punto che mi sembra debole nella versione italiana è al ver.22, quando dice che “la fede cooperava con le opere di lui”, dove mi sembra che in italiano sembri appunto una cooperazione, mentre il testo afferma che la fede “opera con le opere” di Abramo: non ci sono due termini che collaborano tra loro, ma semplicemente la fede che opera nella storia di Abramo e di ogni altro credente.
Il ver.24 non può che condannare la “sola fede”. E credo che questo sia in assoluta comunione con la tesi di Paolo, perchè quando Paolo contesta il valore delle opere si riferisce non all’operosità essenziale della fede, ma a quelle opere della Legge che in un’interpretazione farisaica decadente sono non l’opera di Dio nell’uomo, ma l’opera dell’uomo che con le sue sole forze riuscirebbe a vivere “secondo Dio”. Il che è certamente contrario a quello che il Signore in questi giorni ci comunica attraverso la Lettera di Giacomo.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Se il v. 13 ci spingeva a pensare a queste opere della fede in relazione alla misericordia che trionfa sul giudizio, oggi introducendo l’esempio di Abramo, le opere della fede prendono la direzione dell’offerta. La fede senza le opere è “inoperosa”, che è proprio quella condizione da cui Dio ci vuole strappare, venendoci continuamente a cercare perchè possiamo andare alla sua vigna, così come espresso dalla parabola. Nella parabola dei talenti, la necessità di trafficare in essi, di non rendere vana la potenza in essi contenuta è assoluta. Il servo che seppellisce il suo talento viene definito pigro e malvagio L’inizio di 2Pietro è un parallelo importante per il testo di Giacomo: …Per questo mettete ogmi impegno per aggiungere alla vostra FEDE la virtù, alla virtù la conoscenza, alla conoscenza la temperanza, alla temperanza la pazienza, alla pazienza la pietà, alla pietà l’amore fraterno, all’amore fraterno la CARITA’. Se queste cose si trovano in abbondanza in voi non vi lasceranno INOPEROSI nè senza frutto PER LA CONOSCENZA DEL SIGNORE GESU’ CRISTO L’accenno del v.19 ai demoni, vuole forse sottolineare ancora più vigorosamente una concezione deviata di fede, in quanto divorziata da un cammino e una prospettiva di comunione e da quello che in 2 Pt. è indicato come punto finale, e in 1Cor 13 come ciò che è più grande e mai tramonterà, l’amore. Il testo di Giacomo su queste opere che fioriscono dalla fede e ne rappresentano l’espressione perfetta, non si oppone a quelli di Paolo (cfr. soprattutto Gal 2,16;3,11 Rom 3:27 e anche atti 13:39) sull’impossibilità delle opere della legge di giustificare l’uomo, e si collega a Gal 5:6 a riguardo della fede che opera per mezzo della carità. E’ però anche bello rilevare, a partire dallo stesso esempio del sacrificio di Isacco, all’interno della Scrittura una “dialettica” buona tra i diversi testi, che ci costringe a camminare perennemente nelle Scritture senza sclerotizzarle ma sempre scoprendo nuove angolature del mistero della nostra salvezza in Cristo.
“in Cristo Gesù non è la circoncisione che conta o la non circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità.” (Gal 5,6). Non c’è contrasto tra Giacomo e Paolo. Anche per Paolo la fede si manifesta, esiste, solo attraverso la carità. Le opere che non giustificano sono le opere della legge, opera dell’uomo che non può salvare. Ciò che salva, sia per Giacomo che per Paolo, è l’opera di Dio, il dono gratuito della fede che l’uomo accoglie incarnandola nella sua vita spesa per il bene.