21 Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: 22 le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; 23 il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. 24 E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto.
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Chiedo scusa, ma tra problemi di computer e un viaggio che mi ha portato via da Bologna, ieri non ho lasciato una parola su quella che, meravigliosa, ci regalava il Signore attraverso l’Apostolo Paolo. Dico adesso due parole sui testi di ieri e di oggi.
Il ver.16 mette al centro dell’attenzione della nostra preghiera la categoria del “tempo”. Notate la diversità e la complementarietà dei due termini, “tempo” e “giorni”.
Il termine reso in italiano con “tempo” mette in rilievo e propone la grande importanza di questa parola, al punto che spesso il termine viene reso con l’aggiunta di un attributo: tempo “favorevole”, o “opportuno”, o addirittura il tempo come “al cuore” dell’evento!
L’espressione che invita a “far buon uso” del tempo, dice di “riscattare” il tempo, appunto perché “i giorni sono cattivi”. Propongo come spiegazione che se il tempo non viene “riscattato”, viene assorbito e travolto dai “giorni”.
E i giorni sono cattivi, mi sembra, essenzialmente per due motivi: il primo è il carattere puramente “numerico” dei giorni: uno dopo l’altro e in certo senso tutti “uguali”, e quindi esposti ad avere un senso solo “quantitativo”.
Il “riscatto” del tempo è invece il rapporto stretto tra il tempo e l’
“evento”: che cosa accade oggi? Senza questo, i giorni sono “cattivi” sia perché si presentano come sempre uguali l’uno all’altro, ed esposti quindi al pessimismo del Libro del Qoelet: “… non c’è niente di nuovo sotto il sole” (Qu.1,9).
E così drammaticamente “poveri” i giorni sono anche “cattivi” perché inevitabilmente procedono “verso la morte”!
Ma qui sta il “riscatto del tempo”, che è il Signore Gesù e la sua Pasqua.
Qui ricordiamo peraltro che tutto si compie per la grande promessa di Dio al suo Popolo della Prima Alleanza e per la fedeltà con la quale i padri ebrei custodiscono la preparazione e la profezia del Messia di Dio!
Con il Figlio di Dio, l'”Evento” capovolge la storia, e si inaugura e si afferma la signoria di un cammino che non è più dalla vita alla morte, ma appunto dalla morte alla vita!
Sento il dovere di accennare che per la fede di Israele questo è sempre il ritmo segreto e profondo della storia: dalla prigionia alla liberazione, dalla schiavitù alla libertà, dal peccato al perdono ….
E questa è un’ “antropologia” opposta a quella del pensiero classico, così drammaticamente influente anche sul pensiero cristiano: Uno è nativamente “libero, intelligente e magari anche virtuoso”,e tale deve rimanere, e se mai migliorare! Per un ebreo, invece, la storia è sempre storia di liberazione!
Il brano di Efesini che ci è regalato oggi – i vers.21-24 – entra nel concreto della storia e della vicenda umana, con un’attenzione privilegiata per il mistero nuziale, che nella vita umana celebra il mistero supremo della relazione tra Dio e il suo popolo!
Tra Gesù Cristo e la Chiesa come cuore, fonte e apice del cammino della salvezza di tutta l’umanità nel dono del Vangelo del Signore.
Paolo mette al centro del suo annuncio il primato dell’obbedienza! Il “segreto divino” di questo primato è il tema della salvezza! In radicale alternativa all’individualismo esasperato del pensiero greco, l’antropologia biblica esalta il primato della comunione, perché qui sta il segreto e la potenza della salvezza! La vita è bella e buona se e perché è cammino di salvezza!
Ma “salvezza” implica necessariamente “comunione”, perché nessuno “si salva”! Se dicessimo che è possibile “salvarsi”, dovremmo cambiare il termine, perché “salvezza” dice necessariamente una condizione negativa di “impossibilità”, nella quale interviene una presenza “salvatrice”.
Ora, il “salvatore” è l'”Altro”!
Il ver.21 deve essere considerato il “titolo” di questo tema fondamentale della fede ebraico-cristiana: “Nel timore di Cristo”, dove “timore” non vuol dire “paura”, ma “presenza, dono ,accoglienza, obbedienza …” al Cristo che è il Signore della vita nuova, dunque, “nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri”: senza l’altro che mi salva, io sono sicuramente perduto!
Qui siamo agli antipodi del pensiero classico e della nostra “sottocultura”
contemporanea!
E questo principio assoluto vale per tutti! E vale quindi in modo assoluto per la vita coniugale, che è il segno supremo di quella comunione che in Gesù unisce Dio a tutta l’umanità, e ad ogni uomo e donna della terra!
Gli sposi sono per questo chiamati a “celebrare” nella loro comunione e nella loro storia il mistero dell’amore che unisce il Cristo alla sua Chiesa, dove la Chiesa è quella realtà che in nome dell’intera umanità celebra la sua salvezza per l’amore divino che conduce il Cristo fino all’obbedienza della Croce!
Questa suprema “nuzialità” del Cristo è fonte, modello e potenza dell’amore che porta ognuno di noi a volerci “un bene da morire” (perdonate la banalità dell’espressione!), amore che nella mia vita di cristiano monaco peccatore vedo e ricevo dai miei fratelli e dalle mie sorelle di famiglia, a da tutti i miei fratelli e sorelle di fede!
Io sono come quella “sposa” del ver.22, portata alla salvezza dall’amore che riceve!
Il matrimonio è chiamato ad essere immagine privilegiata di quell’amore che porta Gesù a dare la vita per noi, per tutti e per ciascuno di noi!
La sposa è chiamata ad essere il segno di ciascuno di noi, salvato perché amato.
Lo sposo, anche lui salvato perché amato, è chiamato ad essere il segno di Cristo che ci salva perché ci dona la sua vita.
La sposa, allora, è chiamata ad essere il segno del nostro essere discepoli, figli e servi, ciascuno e tutti salvati dal sacrificio d’amore di Gesù!
In tal modo, salvati dal Signore e a Lui obbedienti, impariamo ad amarci come Lui ci ama! Impariamo a darci reciprocamente la vita!
E di questo sono segno stupendo le nostre madri che ci hanno dato la vita, e che hanno dato la vita per noi.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.