10Noi abbiamo un altare le cui offerte non possono essere mangiate da quelli che prestano servizio nel tempio. 11Infatti i corpi degli animali, il cui sangue viene portato nel santuario dal sommo sacerdote per l’espiazione, vengono bruciati fuori dell’accampamento. 12Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, subì la passione fuori della porta della città. 13Usciamo dunque verso di lui fuori dell’accampamento, portando il suo disonore: 14non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura. 15Per mezzo di lui dunque offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome.

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Consideriamo con molta attenzione il ver.10. “Quelli che prestano servizio nel tempio” non possono mangiare le offerte del nostro altare non perché è proibito o perché noi glielo proibiamo, ma perché non ne hanno la potenza e il potere. L’altare che noi abbiamo è infatti Gesù e la sua Croce, cioè il suo sacrificio d’amore, che appartiene ad una nuova economia della salvezza, quella fondata e inaugurata dalla Pasqua del Signore. A questo proposito viene ricordato che, come ascoltiamo in Levitico 16, quando nel giorno dell’espiazione il sommo sacerdote entra nel santuario con il sangue delle vittime, i corpi di tali vittime devono essere bruciati “fuori dell’accampamento”(ver.13). E la nostra Lettera dice che per questo motivo “Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, subì la passione fuori dalla porta della città”. Ricordiamoci che il Calvario dove è stato crocifisso, era fuori dalle mura di Gerusalemme.
Questo esige che anche noi “usciamo dunque verso di lui fuori dall’accampamento”, cioè fuori dal tempio e fuori dalla città, fuori dalla Gerusalemme della terra, nel grande esodo verso la città “futura”(ver.14), la Gerusalemme del cielo. E seguiamo Gesù crocifisso e risorto, “portando il suo disonore”(ver.13), cioè la sua Croce, dietro a Lui! Non possiamo più identificarci con il culto del tempio, come appunto quelli che prestano servizio nel tempio non possono mangiare le offerte del nostro altare. Tali nostre offerte sono il “sacrificio di lode”, non il sacrificio di animali, ma “il frutto di labbra che confessano il suo nome”(ver.15), cioè che con la lode, con il sacrificio di lode, con l’eucaristia, si uniscono al sacrificio d’amore del Signore Gesù, alla sua Croce di salvezza.
Noi non abbiamo più un tempio fatto di pietre, ma siamo noi stessi il tempio, la chiesa, che offre a Dio Padre l’unico sacrificio di Gesù per la salvezza di tutta l’umanità.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.