14Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore; 15vigilate perché nessuno si privi della grazia di Dio. Non spunti né cresca in mezzo a voi alcuna radice velenosa, che provochi danni e molti ne siano contagiati. 16Non vi sia nessun fornicatore, o profanatore, come Esaù che, in cambio di una sola pietanza, vendette la sua primogenitura. 17E voi ben sapete che in seguito, quando volle ereditare la benedizione, fu respinto: non trovò, infatti, spazio per un cambiamento, sebbene glielo richiedesse con lacrime.
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Anche se in modo non molto evidente, oggi il dono e il mistero della fede che fonda e guida la nostra vita di figli di Dio, assume un volto “nuziale”. Diventa la grande ikona del nostro legame d’amore con Dio e con il prossimo. E questo viene affermato già al ver.14 quando ci invita alla “pace con tutti”, e quindi alla nostra comunione con tutti i nostri fratelli, e alla “santificazione”. Mi sono chiesto quale sia il significato di questa parola, e mi pare di trovare un’indicazione preziosa nel ver.10 del brano precedente dove si diceva che Dio vuole “farci partecipi della sua santità”. La “santificazione” è dunque quel cammino di comunione che ci unisce a Dio Padre, come la “pace con tutti” di questo ver.14 dice la nostra comunione con il prossimo, “con tutti”. Il seguito del nostro testo ci chiede di custodire tale comunione, che è insieme figliale e, come vedremo, anche “nuziale”.
Il traduttore italiano ha preferito spezzare la continuità del testo originale, che collega al verbo “vigilare” le tre indicazioni dei vers.15-16. Vigilare a che 1) nessuno si privi della grazia di Dio; 2) Non cresca in mezzo a voi alcuna radice velenosa; 3) non vi sia nessun fornicatore o profanatore. Si tratta quindi di non perdere il dono della nostra comunione con Dio e tra noi, dono che viene chiamato “grazia di Dio”. Bisogna quindi vigilare a che non spunti alcuna radice velenosa che comprometta tale comunione d’amore. E che dunque nessuno spezzi tale vincolo. E’ qui che l’immagine della nostra famigliarità di figli di Dio assume la tonalità nuziale con la quale viene ricordata la vicenda di Esaù! Egli ha rinunciato al dono supremo della benedizione “in cambio di una sola pietanza”: per un piatto di lenticchie! E’ stato “fornicatore e profanatore” perché ha spezzato il suo legame nuziale, e cioè la benedizione paterna, che ha tradito per una cosa da nulla. Se potete percorrere il testo di Genesi 27 rimarrete colpiti per come la nostra Lettera interpreta la vicenda di Giacobbe e di Esaù.
Tutto questo vuole consegnarci la consapevolezza del bene che abbiamo ricevuto e la responsabilità che ne deriva nella nostra vita.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Grazie a don Giovanni, che ci ha spiegato perché il povero Esaù (che ricevette comunque una benedizione paterna) venga qui qualificato come “fornicatore o profanatore”. E ci aiuta anche a comprendere quella parola, “la santificazione”: non quella meta astratta o quella perfezione spirituale, come si diceva in passato, ma quella comunione figliale e nuziale che ci unisce al Padre. Ciò di cui ci viene suggerito di preoccuparci è che nessuno di noi “si privi della grazia di Dio”(v.15). Farsi carico del fatto che nessuno si autoescluda da quel dono prezioso che ci è stato fatto e che può rivoluzionare la nostra vita. Nessuna “radice velenosa” dovrebbe danneggiare e contagiare la comunità.
E’ quasi buffa la vicenda di Esaù che vende la sua condizione per una minestra di lenticchie.
Mi è sembrata però molto rappresentativa.
Quanto spesso desidero,cerco,preferisco primariamente la minestra di lenticchie alla grazia di Dio,alla pace con tutti..al Vangelo!