12 Se un tuo fratello ebreo o una ebrea si vende a te, ti servirà per sei anni, ma il settimo lo lascerai andare via da te libero. 13 Quando lo lascerai andare via da te libero, non lo rimanderai a mani vuote. 14 Gli farai doni dal tuo gregge, dalla tua aia e dal tuo torchio. Gli darai ciò di cui il Signore, tuo Dio, ti avrà benedetto. 15 Ti ricorderai che sei stato schiavo nella terra d’Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha riscattato; perciò io ti do oggi questo comando. 16 Ma se egli ti dice: “Non voglio andarmene da te”, perché ama te e la tua casa e sta bene presso di te, 17 allora prenderai la lesina, gli forerai l’orecchio contro la porta ed egli ti sarà schiavo per sempre. Anche per la tua schiava farai così. 18 Non ti sia grave lasciarlo andare libero, perché ti ha servito sei anni e un mercenario ti sarebbe costato il doppio; così il Signore, tuo Dio, ti benedirà in ogni cosa che farai.
19 Consacrerai al Signore, tuo Dio, ogni primogenito maschio che ti nascerà nel tuo bestiame grosso e minuto. Non metterai al lavoro il primo parto del tuo bestiame grosso e non toserai il primo parto del tuo bestiame minuto. 20 Li mangerai ogni anno con la tua famiglia, davanti al Signore, tuo Dio, nel luogo che il Signore avrà scelto. 21 Se l’animale ha qualche difetto, se è zoppo o cieco o ha qualunque altro grave difetto, non lo sacrificherai al Signore, tuo Dio. 22 Lo mangerai entro le tue porte: l’impuro e il puro possono mangiarne senza distinzione, come si mangia la gazzella e il cervo. 23 Solo non ne mangerai il sangue. Lo spargerai per terra come l’acqua.
E’ molto bello l’accostamento tra la remissione del debito del testo precedente e la liberazione dello schiavo che oggi ci viene annunciata. Infatti, nell’ampiezza di significato che tutto questo viene ad assumere nella Parola di Gesù la liberazione è fondamentalmente liberazione dal male e dalla morte. Ogni altra “liberazione” è frutto e segno di questa fondamentale e radicale liberazione. Quando dunque perdoni, tu liberi! E non solo lo libererai, ma lo congederai con doni. Tutto questo è intimamente legato alla memoria di quello che il Signore ha fatto per te! Noi ben conosciamo infatti come la potenza che la memoria quotidiana della Pasqua di Gesù – pienezza dell’antica liberazione pasquale dall’Egitto della schiavitù e della morte – dona alla nostra speranza, esiga di tradursi in una “restituzione” di tale dono in ogni vivenda della nostra vita. Noi infatti non siamo dei liberi, ma dei liberati, dei “liberti” si potrebbe dire, come venivano chiamati gli schiavi liberati. E proprio per questo, possiamo – e dobbiamo – essere fonte di liberazione.
I vers.16-17 fanno un cenno prezioso a quello che si può considerare una condizione di “libera schiavitù”, quella che Paolo ricorderà a Filemone, che è il vincolo di carità fraterna. In essa è la libertà ad essere il principio di una sottomissione e di un vincolo profondissimo quale è l’amore. Per essere pieno e totale, l’amore esige di essere libero. E d’altra parte, il vincolo dell’amore è il livello più profondo della libertà!
Se volete, date un’occhiata alla prima parte del Salmo 39(40), a proposito di questo orecchio forato citato al ver.17. E’ interpretazione profonda di quell’apertura dell’orecchio che il Salmo indica come la disposizizone più profonda all’ascolto della parola di Dio e immagine splendida di un ascolto che vuole essere piena e libera obbedienza.
E’ in questo orizzonte di libertà e di appartenenza che i vers.19-20 ci ricordano la consacrazione dei primogeniti dell’uomo come viene celebrata con il sacrificio del primo parto degli animali. Al suo livello più profondo è celebrazione della realtà di un popolo tutto consacrato al suo Signore. Ancora una volta il Deuteronomio ci consegna la liturgia del sacrificio attraverso l’immagine di un banchetto famigliare. E mi sembra interessante anche l’indicazione dei vers.21-23, dove l’animale imperfetto che come tale non può essere offerto, viene consumato in un banchetto non cultuale, ma che si pone come al seguito del banchetto per l’offerta del primogenito, e che consente un segno domestico – “entro le tue porte” – di accoglienza anche dell’impuro, cioè di chi non è in quello stato di purità che è esigito per il banchetto cultuale. Sono tutte perle preziose!
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Ci sono vicende tragiche e dolorose nella vita; a volte non le possiamo evitare. Nei versetti odierni, c’è la situazione di persone che hanno dovuto “vendere” se stesse e il proprio lavoro, perché economicamente rovinate. Mi colpisce la delicatezza e l’attenzione con cui la parola di Dio parla di costoro. Allo scadere dei sei anni, non devono essere licenziati a mani vuote: come potrebbero sopravvivere e ricominciare da zero? Si deve dar loro quanto serve per “ripartire”. E se si sono creati legami di amicizia, di affetto, che fanno preferire il rimanere? Devono poter rimanere… – Nella seconda parte del brano, ci appare ancora una volta questa liturgia che ha il suo culmine in una cosa molto naturale e semplice: un gioioso pasto di famiglia “davanti al Signore”…
Tutti gli eventi della vita del popolo, anche i più piccoli, vengono riportati alla liberazione dall’Egitto: tutti gli eventi e la storia si rifanno alla Pasqua. Troviamo infatti qui il comando che ritorna molto spesso nel nostro libro: “Ricordati che sei stato schiavo in Egitto; … e di là il Signore ti ha liberato”. Lo abbiamo letto in 5:15 a motivare il santo precetto del riposo nel sabato; lo troviamo qui a proposito del comando di liberare il fratello fattosi schiavo; in 16:12 a proposito della festa di Pentecoste, da celebrarsi con gioia insieme ai familiari, al levita, agli schivi e ai più derelitti: forestiero, orfano e vedova; e infine in 24:18, collegato al diritto di “spigolare”, in difesa del forestiero, dell’orfano e della vedova. Tutte queste occorrenze dicono bene come la memoria della liberazione ricevuta è – nell’intenzione di Dio – proprio ciò che può muovere il cuore alla misericordia verso il fratello prossimo. Ogni sette anni si celebra l’anno della liberazione: è una occasione ricorrente, da cogliere. Questa liberazione va sempre chiesta, e va sempre offerta. La liberazione dello schiavo non è solo benevolenza, è anche un dovere di giustizia, perchè “se ti avesse servito un salariato, ti sarebbe costato il doppio”. Non solo lo dovrai liberare, ma anche lo “congederai con doni”. (Ricordiamo cha anche a Israele accadde così: mentre partivano, furono dati loro doni dagli Egiziani). Questo “riempire le mani” allo schiavo congedato, dandogli del gregge e dei prodotti della terra, permetterà a lui di non essere a mani vuote quando si presenterà davanti al Signore, ma di essere parte della comunità adorante a pieno titolo. Il servo però può “voler rimanere nella casa del suo padrone dicendo: E’ bene per me!”. Infatti è bene per noi continuare ad essere servi di Dio. E anche Gesù si è fatto servo nostro. Però Gesù stesso ha detto che un servo non resta per sempre nella casa, ma vi resta il figlio. E perchè lo schiavo vuole restare sempre nella casa del suo padrone? Perchè “ama” il padrone e quella casa (v.16). Questo “amare” gli permette allo schiavo di rimanere nella casa come servo (in gr. sono due parole diverse) in una condizione nuova, “liberata”; potremmo dire con Gesù, come “domestico”, o meglio come “figlio”. Perchè? Perchè ama il padrone e la sua casa. Ci ricorda la considerazione e le parole del figlio minore che si prepara a tornare alla casa del padre: “Quanti schiavi nella casa di mio padre hanno cibo in abbondanza, … tornerò e gli dirò: trattami come uno dei tuoi servi!”. E ricorda anche le parole di Pietro, quando alla domanda di Gesù,abbandonato da molti dei suoi discepoli: Volete andarvene anche voi? risponde: “Signore, da chi andremo? TU solo hai parole di vita eterna!” Pietro confessa così che non c’è altro posto “buono” come quello: stare vicino a Gesù in comunione con Lui e con le sue parole. Questa immagine del “forare l’orecchio” ritorna a proposito del “servo” perenne di Dio, Gesù Messia, che secondo Isaia “si lascia forare e aprire l’orecchio”. Ed è la stessa azione di Maria, che all’annuncio dell’angelo risponde: Ecco la serva del Signore, avvenga in me quello che hai detto. L’offerta del primogenito degli animale, ricorda l’offerta del primogenito Gesù, che poi diventa cibo davanti a Dio per noi, nella sua parola e nell’eucarestia.