18 Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come si conviene nel Signore. 19 Voi, mariti, amate le vostre mogli e non inaspritevi con esse. 20 Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. 21 Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino. 22 Voi, servi, siate docili in tutto con i vostri padroni terreni; non servendo solo quando vi vedono, come si fa per piacere agli uomini, ma con cuore semplice e nel timore del Signore. 23 Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini, 24 sapendo che come ricompensa riceverete dal Signore l’eredità. Servite a Cristo Signore. 25 Chi commette ingiustizia infatti subirà le conseguenze del torto commesso, e non v’è parzialità per nessuno.
4,1 Voi, padroni, date ai vostri servi ciò che è giusto ed equo, sapendo che anche voi avete un padrone in cielo.
Nel nostro brano per ben sette volte viene esplicitamente citato il Signore (compreso il ver.4,1 dove l’italiano rende con il termine “un padrone in cielo”). E viene citato nelle esortazioni rivolte alle tre categorie “deboli”: le mogli, i figli e i servi; infine il Signore viene ricordato anche ai padroni al ver.4,1. Ai servi il Signore viene ricordato per ben quattro volte. Dico questo per sottolineare come il mistero divino, nella Persona del Signore Gesù, invada ogni ambito della vita umana. Tale presenza viene espressa con particolare attenzione per chi si trova in posizione di maggiore dipendenza e minorità, e potrebbe essere tentato nella direzione dello sconforto o della ribellione. Penso si possa dire che tale presenza del Signore nelle relazioni interpersonali fissa anche i limiti di ogni dipendenza, nel senso che la sottomissione ad una persona è positiva in quanto celebra la sottomissione al Signore, e si ferma là dove venisse pretesa una sottomissione contraria al Vangelo. Se per esempio un padre domandasse al figlio una cosa contraria alla volontà di Dio.
Mi sembra che in ogni modo il dato forte di queste parole sia appunto l’affermazione che, in Gesù, Dio si è “messo in mezzo” ed è quindi inevitabile che il giudizio evangelico ormai governi e filtri ogni tipo di relazione. Per le mogli la fisionomia della loro obbedienza è quella della Chiesa al Cristo Sposo. Per i figli è la figura di Dio Padre quella che guida e delimita l’obbedienza ai genitori. Per i servi la presenza che deve guidare il loro comportamento sia esterno che interiore – e questo mi sembra un aspetto molto interessante del discorso! – è quella del Signore Gesù, Colui che è anche per i padroni “il Signore in cielo”(ver.4,1).
Sottolineo la parte riguardante i servi (vers.22-25), notevole per la sua estensione ma soprattutto per il suo contenuto. In un modo o nell’altro la vita di tutti noi è in qualche modo sottomessa a qualcun’altro per qualche “servizio” che dobbiamo rendere. Ebbene, Paolo dice che bisogna servire come al Signore. La nostra condizione di subordinazione deve poter diventare l’opportunità di servire il Signore stesso! E questa è un’operazione interiore che dipende propriamente solo da noi che serviamo. Per questo è forte l’esigenza che la nostra sottomissione non riguardi solo l’esteriorità, ma si eserciti soprattutto nella nostra interiorità, “con cuore semplice e nel timore del Signore”(ver.22). E’ sbagliato dunque fermare l’orizzonte della nostra obbedienza affermando, come spesso mi sembra possa capitare, che “servo a te come ad un padrone”, intendendo dire che non servo come al Signore. Questa accettazione sarebbe fatalistica, ma alla fine anche ingiusta.
In ogni forma di “potere”, come quello dei mariti, dei genitori e dei padroni, il rischio grave è quello di prevaricare in una relazione che ormai deve essere segno e diaconìa della presenza piena del Signore nella vita umana. Rischiano di invadere e di oltraggiare tale divina presenza, i mariti, riempiendo di amarezza il rapporto con le loro mogli, i padri (le mamme non vengono citate!), esasperando i figli, e i padroni, non attribuendo ai servi quello che è loro dovuto, dove con questo “dovuto” sembra intendersi non solo quello che adempie ad un dovere sociale, ma anche il riconoscimento di una uguale dignità, che, pur nella differenza delle condizioni esterne, conferma il dato sostanziale di un’assoluta uguaglianza davanti al “Signore in cielo”.
Certo, bisogna dire che la Fede porta in ogni modo con sè un’attenzione privilegiata a tutto quello che ha riferimento con il tema dell’obbedienza. Mi capita spesso di essere invitato a dire qualcosa sull’obbedienza come se si dovesse parlare di marziani. Eppure siamo in un mondo che incessantemente genera meccanismi sempre più sottili, efficaci e…occulti di sottomissione subìta e violenta, certamente ben lontana da quella che Paolo ci indica oggi come opportunità per incontrare con l’unico Signore della nostra vita.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Come si è detto altre volte, se Paolo dà per scontate le relazioni sociali del suo tempo, tuttavia le rinnova in modo determinante proponendo di viverle “nel Signore”…, come ha spiegato don Giovanni. – Ai servi è promessa come ricompensa “dal Signore l’eredità”: la stessa ricompensa sarà data a servi e a padroni! A conferma, viene ribadito il principio altre volte affermato: in Dio “non c’è parzialità per nessuno”. Ai padroni si chiede di dare ai servi “ciò che è giusto ed equo”: una richiesta forte in un’epoca in cui il padrone aveva diritto di vita e di morte sullo schiavo e poteva agire arbitrariamente! Un comportamento basato sull’equità, illuminato dal fatto che anche i “signori” hanno “un Signore in cielo”. Mi piace ricordare, per inciso, che Gesù ci ha voluti tutti “signori”, elevandoci al suo stesso rango…; Egli, però, è stato un Signore che è venuto per servire, per lavare i piedi ai suoi.
Lodo la parola di Dio,
lodo la parola del Signore,
in Dio confido, non avrò timore:
che cosa potrà farmi un uomo?
Su di me, o Dio, i voti che ti ho fatto:
ti renderò azioni di grazie,
perché mi hai liberato dalla morte.
Hai preservato i miei piedi dalla caduta,
perché io cammini alla tua presenza
nella luce dei viventi, o Dio.
Salmo 55
Questo testo ci imbarazza un po’. Le donne, i giovani, i servi sono categorie deboli e la nostra sensibilità si ribella a questo invito alla sottomissione. Però tutto cambia se vediamo i rapporti interpersonali alla luce di Gesù Cristo, Dio incarnato, morto e risorto. I rapporti interpersonali vengono rinnovati alla radice, in Cristo. Al di là dei ruoli, al di là dei rapporti di dipendenza, al di là dei conflitti, anzi proprio nel cuore dei conflitti, amare l’altro, volere il bene dell’altro. Qui sta la nostra gioia, la noatra felicità, la riuscita della nostra vita. “Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica.” (Gv 13,12-17).