Caselle chiesa terremoto_2Caro E., dopo il saluto che la comunità della terra ti ha rivolto in chiesa, mentre ti consegnava alla comunità del cielo, con onde sempre più grandi la tua persona, la nostra amicizia e la tua morte – una morte che tu stesso ti sei data – hanno preso sempre più spazio nella mia mente e nel mio cuore… fino a questa “lettera” che ho pensato di scriverti. Ritengo che avrai il tuo “bel da fare” nel giardino del Signore dove adesso dimori, ma forse ci sarà qualche angelo che farà da postino per portartela. O forse lì non ne avete bisogno perché da lì vedete tutto di noi. Non ti incontravo da anni. La devastazione non riparata delle nostre piccole, terremotate, chiese di campagna ha mosso la richiesta rivolta a voi del centro sociale per poter ospitare alcuni incontri che le famiglie giovani della nostra parrocchina di campagna hanno organizzato sul tema del lavoro. È stato bello per me ritornare in luoghi dove tante volte nel passato ho incontrato amici e fratelli che non avevano consuetudine con le attività parrocchiali, ma con le quali si camminava insieme per tante vicende della nostra vita, con amicizia profonda. Così, quando l’altra sera ti ho incontrato, sono stato felicissimo. Mi ha molto commosso ritrovare la tua consueta cordialità, e come ti sei alzato dal tavolino del bar per salutarmi. È bellissimo ritrovare come all’improvviso i propri amici: è come poter ritrovare l’unità di un cammino che né i tempi né le distanze hanno cancellato. Quante belle cose vissute insieme! Ha fatto bene ieri il nostro caro parroco Francesco a ricordare quando, in una visita pastorale dell’Arcivescovo card. Biffi, tu ti sei presentato a lui con grande simpatia dichiarando di essere “un credente non praticante”. In realtà un “praticante” senza il quale non avremmo potuto dire e fare molte belle cose. Però, dopo poche ore da quell’incontro al bar del circolo, la notizia della tua morte! Una morte che tu ti sei dato. Perché? Perché? È stato l’angoscioso interrogativo di molte ore successive. Un perché che resta senza risposta, e troppo diverso dal tuo sorriso di poche sere fa e in contrasto con la tua mano larga di cui ancora mi sembra di sentire il calore e l’affetto del saluto fraterno. Ieri ho visto tutta quella gente in chiesa per salutarti: il nostro popolo di credenti, di non credenti, di credenti non praticanti… Il nostro meraviglioso piccolo popolo sotto l’argine del Panaro. Adesso ti scrivo in stato di turbamento. La domanda che rivolgevo a te per chiederti “perché?” è diventata domanda rivolta a me: il tuo sguardo di quella sera, la tua stretta di mano, ma poi, la tua persona, l’accoglienza profonda della tua amicizia, il clima di pace che tu hai generato e fatto crescere tra la nostra gente… Io ti sono stato vicino? E quella sera: dovevo capire qualcosa? Tu, volevi farmi capire qualcosa? Io sono stato superficiale e banale e non ho capito che dovevo fermarmi, che dovevo chiederti di conversare un po’ insieme, che avrei dovuto chiedermi se quel tuo saluto amichevole portava anche un altro linguaggio… È sciocco pensare di dovere adesso chiederti scusa? Adesso forse devo semplicemente accettare il malessere che mi ha invaso finchè questo malessere vorrà lasciare il posto al pensiero che Dio provvede sempre tutto al meglio, e che adesso tocca a te pregare per me. Anche a nome tuo, auguro Buona Domenica ai miei amici lettori.

Don Giovanni.

Domenica 8 marzo 2015.