37 All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». 38 E Pietro disse loro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo. 39 Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro». 40 Con molte altre parole rendeva testimonianza e li esortava: «Salvatevi da questa generazione perversa!». 41 Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone.
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A proposito dell’espressione resa in italiano con “si sentirono trafiggere il cuore”, non dobbiamo pensare ad una “sensazione”, ma piuttosto all’avvenimento reale e concreto, alla conseguenza e al frutto nato dall’accoglienza dell’annuncio evangelico. Il verbo “trafiggere” lo troviamo in forma quasi uguale in Giovanni 19,34, dove si dice che un soldato “trafigge” il costato del Signore già morto, e ne escono sangue e acqua. Nel nostro testo si tratta di una trafissione interiore, e cioè dell’effetto, o meglio addirittura dell’ “evento” che si genera nel cuore di chi ha ascoltato e accolto la parola del Signore. Il “giudizio” del Vangelo provoca nelle persone che lo ricevono l’evento stesso della Pasqua, evento quindi di morte, per la risurrezione alla vita nuova. Siamo ben lontani dalla “condanna”, che è sempre un giudizio negativo e definitivo. Qui, il giudizio è quello della Croce, e la Croce di Gesù non è condanna a morte, ma “giudizio di salvezza”, giudizio quindi “di morte per la vita”, morte della creatura schiava del male e della morte e risurrezione alla vita nuova nel Signore.
Coerentemente a questo, ecco allora la domanda rivolta agli apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”. Una domanda splendida! Una domanda della piccolezza e dell’umiltà! Che esprime il bisogno di essere veramente presi per mano, perché bisogna entrare in una vita nuova, in una sapienza nuova. Niente di elaborato da noi, ma tutto ricevuto dalla bontà di Dio. Il dono della fede che queste persone ricevono implica il “fidarsi”, e quindi l’ “affidarsi”. Non possiamo non ricordare oggi con grande riconoscenza quelli che non solo nel passato, ma anche oggi, noi possiamo interpellare allo stesso modo per avere da loro l’indicazione, l’aiuto e la protezione. E’ la nuova vita dei figli di Dio.
Il “che fare” si raccoglie, nella risposta di Pietro, in una sola parola: “Convertitevi”. E qui mi permetto di suggerire una spiegazione forse sin troppo semplice, dove questo verbo, nel testo originale, indica un mutamento del pensiero, e quindi il volgersi verso un punto nuovo, un riferimento nuovo, una nuova direzione. Ma per noi, più profondamente, una Persona nuova! Convertirsi vuol dire volgersi a Dio. Non più a se stessi, o ai molti idoli che ci hanno tenuto prigionieri, ma al Signore. La conversione sembra essere quindi un atto più profondo che una riforma morale della propria vita. Questa forse correrebbe il rischio di lasciare la persona sempre prigioniera e chiusa in se stessa. Come chi tenta di smettere di fumare o tenta una dieta. L’invito è quindi, in conformità all’evento pasquale di passaggio dalla morte alla vita, un’uscita dal proprio “Egitto interiore” di male e di morte, verso la vita nuova nella quale camminare.
Al ver.38, a quel “si faccia battezzare” mi sembra da preferirsi semplicemente l’espressione “sia battezzato”. E si è battezzati in Gesù Cristo e si riceve il dono dello Spirito Santo: è la vita nuova. Morti alla vecchia creazione dei figli di Adamo, si nasce alla nuova vita dei figli di Dio. E qui, importantissima, l’immediata ed esigente affermazione dell’universalità del dono di Dio, “per tutti quelli che sono lontani”. Non si può pensare alla vita cristiana, senza pensare all’intera umanità, al disegno divino di salvezza universale. Alla destinazione universale della Pasqua di Gesù. C’è un rapporto di attrazione assoluta tra Chiesa e umanità. Anche l’uomo più lontano, i cristiani non possono pensarlo che come figlio di Dio. In quel bellissimo “quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro”, sarebbe assurdo vedere un “limite” da parte di Dio. E’ necessario invece cogliervi una divina provocazione davanti a tutti i nostri istinti di divisione, di esclusione e di violenza. L’esigente temperamento della fede cristiana sta proprio nel non poter mai pensare e agire “senza l’altro”, senza “tutti quelli che sono lontani”. Il rischio è di confondere il lontano con l’estraneo e l’escluso. O magari addirittura con il nemico. Ma nel vero amore nulla più del lontano grida la nostra vicinanza lui e la sua vicinanza a noi.
In tal senso mi sembra vada interpretata l’espressione del ver.40. “Salvatevi da questa generazione perversa”. Qui certamente non si parla di quella povera umanità di cui siamo noi stessi parte! Quanto piuttosto della condizione schiava del male e della morte di cui l’umanità è prigioniera. Il Signore è venuto a liberarci! Ha tracciato il percorso meraviglioso di una storia di salvezza che ha affidato alla custodia amante e gelosa del piccolo Popolo dei nostri padri ebrei, e che ha fatto risplendere nel suo Figlio Gesù in un’universale bellezza e bontà per la salvezza di tutto il mondo. Quella mattina di Pentecoste, a Gerusalemme, si è acceso il fuoco dello Spirito che ha inaugurato il viaggio del Vangelo sino a Mapanda, a Sammartini, alla Dozza…e sino a Roma. Oggi la Parola di Dio ci riconsegna questo dono e questa responsabilità.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.