1 Poi mi fu data una canna simile a una verga e mi fu detto: «Àlzati e misura il tempio di Dio e l’altare e il numero di quelli che in esso stanno adorando. 2 Ma l’atrio, che è fuori dal tempio, lascialo da parte e non lo misurare, perché è stato dato in balìa dei pagani, i quali calpesteranno la città santa per quarantadue mesi. 3 Ma farò in modo che i miei due testimoni, vestiti di sacco, compiano la loro missione di profeti per milleduecentosessanta giorni». 4 Questi sono i due olivi e i due candelabri che stanno davanti al Signore della terra. 5 Se qualcuno pensasse di fare loro del male, uscirà dalla loro bocca un fuoco che divorerà i loro nemici. Così deve perire chiunque pensi di fare loro del male. 6 Essi hanno il potere di chiudere il cielo, perché non cada pioggia nei giorni del loro ministero profetico. Essi hanno anche potere di cambiare l’acqua in sangue e di colpire la terra con ogni sorta di flagelli, tutte le volte che lo vorranno.
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Ogni giorno di più mi entra nella mente e nel cuore il pensiero che la nostra attenzione privilegiata non si debba impegnare per “interpretare” e identificare le immagini e le figure che si presentano lungo il nostro cammino in Apocalisse. L’importante è che tutte queste “figure” vengano rivelate (“apocalisse”!) perché nella nostra umile storia noi possiamo riconoscere i segni della grande storia della salvezza e la realtà profonda della nostra vicenda di discepoli di Gesù, sia in ciascuno di noi, sia nella realtà sublime della comunità ecclesiale, sia infine nella storia nella quale viviamo. Siamo molto esposti e tentati di non “guardare in grande”! Ma il Mistero della salvezza, che è Gesù, è ormai del tutto presente e operante, e l’Apocalisse è la rivelazione dell’immensità dell’opera e del dono di Dio, che è Gesù, nella fisionomia e nella tessitura modesta e spesso molto povera della nostra quotidiana esperienza.
Così, dunque, i vers.1-2. Sono l’invito a ritrovare la misura divina della comunità ecclesiale, malgrado tutte le sue povertà. Comunità ecclesiale che si raccoglie anche nella realtà del nostro quotidiano, nelle relazioni tra le persone, nei problemi e nelle angustie che anche oggi possiamo riscontrare nella nostra realtà parrocchiale, o nella nostra famiglia, o nelle relazioni con le persone con le quali condividiamo il quotidiano, o con noi stessi! Tutto è molto più prezioso e grande di come noi rischiamo di ridurre la realtà nella quale siamo immersi. Apocalisse è l’illuminazione evangelica della nostra piccola vita. Ed è capace di rivelarcene la divina bellezza. E quindi afferma quella nostra “responsabilità del dono” per accogliere, custodire e lasciar fiorire quello che Dio ci ha donato e ci ha affidato.
Questo porta a pensare che talvolta anche la traduzione italiana potrebbe essere più “prudente”. Così, al ver.2, il testo dice alla lettera che l’atrio “è stato dato ai pagani”. Quell’ “in balia” è un po’ troppo. I pagani assaliranno il tempio del Signore, ma in Gesù vi saranno chiamati! “Calpesteranno la città santa per quarantadue mesi” (ver.2), ma i due testimoni compiranno la loro missione “per milleduecento sessanta giorni”!! Umanamente fragili, i due testimoni sono in realtà potentissimi e nessuno potrà fare loro del male! Il male scatenato contro di loro proprio in questo troverà la sua rovina!
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Il misurare – spiegano le note – è un segno di possesso e di uso. Vengono misurati il tempio, l’altare e “quelli che in esso stanno adorando”: tutto ciò appartiene a Dio; quindi, anche noi apparteniamo a lui, poiché ci troviamo tra coloro che stanno adorando. Con i due testimoni, invece, condividiamo la missione profetica, il compito di testimoniare; a questo ci guida lo Spirito che opera in noi. Ciò è indicato – mi sembra – anche dalle due belle immagini dell’olivo e del candelabro: siamo la comunità del popolo di Dio, chiamata a dare luce, e che ha la caratteristica di “stare davanti al Signore della terra”. Così, almeno, cerchiamo di essere… Davanti alle difficoltà della vita e della storia, che anche in questo brano si intravvedono, c’è questa rassicurante affermazione: nessuno può pensare “di fare loro del male”. Nulla e nessuno può strapparci dalle mani del Padre.
Mi pare che quanto leggiamo oggi chiarisca il senso di ciò che abbiamo letto ieri riguardo al divorare quel piccolo libro aperto nel quale riconosciamo la Parola, la buona notizia del Vangelo. Quella Parola dolce come il miele ci consola e ci dà forza ma anche, quando la assimiliamo e la lasciamo penetrare nel più profondo del nostro essere, ci giudica e, togliendoci dalle nostre comodità, ci affida un compito, ci invia. È evidente che questo incontro con la Parola che è la gioia della nostra vita, ci rende responsabili di un annuncio fino a farci attorcigliare le budella. L’Apocalisse ci presenta questa esigenza con molti particolari in questi giorni, oggi con le figure dei due testimoni, ma anche all’ultimo versetto del capitolo precedente, appena detto dell’amarezza del libro inghiottito, viene fatta un’affermazione esplicita della necessità e della responsabilità di questo annuncio. Anche per noi ormai il tempo si è fatto breve e l’urgenza dell’annuncio è forte (10,6): anche quando preferiremmo la sua dolcezza tutta per noi la Parola ci torce per essere proclamata ai fratelli che, senza saperlo, la attendono nell’atrio del tempio, davanti alle nostre case.