1 Quando divenne re, Manasse aveva dodici anni; regnò cinquantacinque anni a Gerusalemme. 2 Fece ciò che è male agli occhi del Signore, secondo gli abomini delle nazioni che il Signore aveva scacciato davanti agli Israeliti. 3 Costruì di nuovo le alture che suo padre Ezechia aveva demolito, eresse altari ai Baal, fece pali sacri, si prostrò davanti a tutto l’esercito del cielo e lo servì. 4 Costruì altari nel tempio del Signore, riguardo al quale il Signore aveva detto: «A Gerusalemme porrò il mio nome per sempre». 5 Eresse altari a tutto l’esercito del cielo nei due cortili del tempio del Signore. 6 Fece passare i suoi figli per il fuoco nella valle di Ben-Innòm, si affidò a vaticini, presagi e magie, istituì negromanti e indovini. Compì in molte maniere ciò che è male agli occhi del Signore, provocando il suo sdegno. 7 Collocò l’immagine dell’idolo, che aveva fatto scolpire, nel tempio di Dio, riguardo al quale Dio aveva detto a Davide e a Salomone, suo figlio: «In questo tempio e a Gerusalemme, che ho scelto fra tutte le tribù d’Israele, porrò il mio nome per sempre. 8 Non permetterò più che il piede degli Israeliti erri lontano dal suolo che io ho destinato ai vostri padri, purché si impegnino a osservare tutto quello che ho comandato loro, secondo tutta la legge, gli statuti e i decreti comunicati per mezzo di Mosè». 9 Manasse spinse Giuda e gli abitanti di Gerusalemme a fare peggio delle nazioni che il Signore aveva estirpato davanti agli Israeliti.
10 Il Signore parlò a Manasse e al suo popolo, ma non gli prestarono attenzione.
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Davanti a questa Parola mi interrogo sulle ragioni profonde del rifiuto del dono della fede di Dio. Perché questo stravolgimento, questa ribellione e questo dominio idolatrico radicalmente alternativo e opposto? Qual è la difficoltà, o il “difetto” della nostra fede? Mi pongo questa domanda anche perché la grande alternativa alla fede qui non è l’ “ateismo”, ma appunto l’idolatria! Cioè, un’ “altra religione”! Forse molti che pensano di essere atei, sono di fatto “idolatri”. Questo è particolarmente di grande interesse in un’epoca e in una cultura come quelle in cui viviamo, e che pensano di essere semplicemente anti-religiose. Penso ad un’idolatria spaventosa come fu il nazismo, e come ancora può esserlo, magari in forme meno violente e più mascherate. Lo penso anche in riferimento a “credenze” meno violente, come certe “credenze” e “ritualità” della “fede leghista”. Ma confesso che lo avverto anche in certi “pericoli” nostri di “riduzione” della parola a “legge”, o a competizione, o a istintiva e magari nascosta sete di potere mondano.
Ma dunque, qual è il “difetto” che induce Manasse e tanti altri ad abbandonare la fede per dedicarsi all’idolatria? Qual è la difficoltà della fede ebraico-cristiana? Lo si deve dire anche per altre fedi religiose, ma qui penso più direttamente a me e a noi. Il “difetto”, o la difficoltà, sta nel fatto che la fede si oppone all’istinto “religioso” che considera il rapporto con Dio o con gli dèi, come una strada di conquista, di crescita e di potenza. Di affermazione anche culturale e politica. Ma questo è negato dalla nostra fede che si presenta e chiede sempre e solamente quello che nel nostro brano è detto al ver.10: “Il Signore parlò a Manasse e al suo popolo, ma non gli prestarono attenzione”. Il verbo reso in italiano con “prestare attenzione” dice grande intensità di questo ascolto. Un “ascoltare” che non può non essere “obbedire”. E ancora: un “ascoltare” che non è la ricezione di un “contenuto” preciso e fisso! Ma è un ascoltare nel tempo, nella storia. Un ascoltare sempre! Ascoltare, infatti, non è ascoltare una parola sempre uguale, ma è ascoltare Dio che parla. E’ ascoltare una Parola che è antica e sempre nuova. Per esempio, il balbettio che cerco di trascrivere viene da pensieri che mi sembra siano oggi il frutto del mio personale incontro con questa Parola. Certamente un frutto molto modesto e limitato che domani esigerà di riproporsi e di fare altri passi. Ma è la Parola di oggi, per me, povero peccatore distratto, e certamente anche … idolatra! E quindi certamente anche “deviato” rispetto alla fede di tante sorelle e fratelli molto più aperti a ricevere e a custodire il dono di Dio. Pur tuttavia, questo è oggi il dono per me e il dono che ho la pretesa di comunicare a voi. Faccio un esempio “alto”: il fascino e la potenza del ministero dell’attuale Vescovo di Roma è che Egli svolge con tutti noi un ministero essenzialmente “profetico”, cioè ci comunica ogni giorno la Parola di Dio per come lui l’ha ascoltata e accolta.
Se queste chiacchiere hanno un minimo di plausibilità, è chiaro che ci si può incontrare con la tentazione di ritirarsi da questo quotidiano rapporto con Dio che si attua attraverso l’ascolto e la celebrazione della sua Parola sempre antica e nuova e di dedicarsi, magari anche molto intensamente fino a farne degli idoli, a vie di comprensione, di realizzazione, di gioia e di piacere …. più disponibili, più usabili e manovrabili, più corrispondenti a nostri immediati desideri e passioni, piuttosto che questa Parola che ci è così vicina e dalla quale ci sentiamo sempre così lontani. Questa Parola che non ubbidisce a noi, ma ci chiede di essere accolta in mite obbedienza. Questa Parola che quasi sempre ci chiede cose che sembrano impossibili. Parola che magari sembra bellissima, ma in un orizzonte che pare essere più “ideale” che “reale”. L’ “ideale evangelico”, magari, che facciamo fatica a pensare possibile come “realtà” nuova e concreta. E allora preferiamo evadere, magari verso riti e miracoli che possano venire più incontro alle nostre paure o alle nostre esigenze di magia, di poteri sovrannaturali, di evasione.
Dio ti benedica E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.