6 Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. 7 Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. 8 Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo.
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“Ravvivare il dono di Dio” dice in modo efficace come abbiamo la responsabilità dell’accoglienza, della custodia e della fioritura del dono di Dio. Mi sembra importante oggi sottolineare questo valore sostanziale dell’etica cristiana! Certamente non dobbiamo fare il male, ma l’accento sul comportamento morale deve essere posto principalmente sulla custodia appassionata del dono! Questo è molto importante per mettere in evidenza che è Lui, il Signore, colui che ci salva e ci chiama: tutto incomincia con la grazia divina, con il dono del Signore!
Così oggi il Signore ci esorta, attraverso l’Apostolo, a “ravvivare” il suo dono! Ravvivare è letteralmente il “riaccendere” tale dono! Qui il dono è particolarmente il dono del ministero che, dice Paolo a Timoteo, “è in te mediante l’imposizione delle mie mani”. Mediante “l’imposizione delle mani” Timoteo ha ricevuto lo Spirito di Dio, che non è “spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza”.
Il ver.8 mette in luce la testimonianza fondamentale del cristiano, che è “testimonianza al Signore”! E’ la testimonianza della sua Pasqua! E’ la testimonianza che Paolo rende al Signore e che esplicita dicendo : “sono in carcere per lui”! In questo modo l’Apostolo rende testimonianza al Signore che ha offerto per noi la sua vita! Tale è il cuore di ogni testimonianza cristiana!
Ora Timoteo viene esortato da Paolo a non vergognarsi di “dare testimonianza al Signore nostro” (ver.8), cioè a testimoniare nella sua vita, e particolarmente con il suo ministero, la passione del Cristo! E a testimoniare anche la vicenda di Paolo che ora è “in carcere per Lui”: per il Signore!
Questo non vuol dire che Timoteo deve anche lui finire in prigione, ma che anch’egli, con la sua vita e con il suo ministero, deve essere “prigioniero del Cristo”, come lo è Paolo: dove la versione italiana dice “sono in carcere per Lui”, con ben altra forza il testo dice letteralmente che egli chiede a Timoteo di rendere testimonianza di Paolo che è “il prigioniero di Lui”, il prigioniero di Cristo! Dunque, Timoteo viene esortato a soffrire con Paolo per il Vangelo: “con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo” (ver.8).
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
“Ravvivare, riattizzare il dono di Dio”: tenerlo vivo, come si fa col fuoco. Il dono di Dio è indicato col famoso termine “carisma”. Questo però non deve farci pensare – credo – a qualche dono straordinario, le lingue, le profezie, o inerente a particolari uffici e compiti nella comunità. “Carisma” viene da “caris”: è la grazia, il dono d’amore del quale il Padre ci ha inondati. Tutti lo abbiamo ricevuto e tutti vorremmo essere capaci di metterlo a servizio dei fratelli. In questo ci frena spesso quella timidezza, quella ritrosia, di cui soffriva – secondo le note delle Bibbie – anche Timoteo. Ci serve proprio quello “spirito di forza, di agapé e di prudenza” di cui parla l’Apostolo.