16 Per questo non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. 17 Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, 18 perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne. 5,1 Sappiamo infatti che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un’abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli. 2 Perciò sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste: 3 a condizione però di esser trovati già vestiti, non nudi. 4 In realtà quanti siamo in questo corpo, sospiriamo come sotto un peso, non volendo venire spogliati ma sopravvestiti, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. 5 È Dio che ci ha fatti per questo e ci ha dato la caparra dello Spirito. 6 Così, dunque, siamo sempre pieni di fiducia e sapendo che finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, 7 camminiamo nella fede e non ancora in visione. 8 Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore. 9 Perciò ci sforziamo, sia dimorando nel corpo sia esulando da esso, di essere a lui graditi. 10 Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male.
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Il rinnovamento dell’uomo interiore, generato dal peso della tribolazione portato con lo sguardo fisso sulle cose invisibili ‘ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria.’ .
Non so che cosa sia questa quantità di gloria ma nei versetti successivi mi hanno colpito due cose.
La prima è la caparra dello Spirito che Dio ci ha dato perché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. La seconda è la descrizione di Paolo della comunità cristiana: ‘camminiamo nella fede’, v.6.
Il dono dello Spirito e del cammino insieme agli altri verso il Signore. Un’intera ipotesi di vita..
‘Quantità smisurata ed eterna di gloria.’
Sembra che ci sia un contrasto, un’alternativa tra “il nostro uomo esteriore che si va disfacendo” e il nostro uomo “interiore che si rinnova di giorno in giorno”. Tra “il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione” e la “quantità smisurata ed eterna di gloria”. Tra “Le cose visibili che sono d’un momento” e “quelle invisibili che sono eterne”. Tra “questo corpo, nostra abitazione sulla terra” e l’abitazione che riceveremo da Dio, “una dimora eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli”. Però, ecco qui la sorpresa, la luce, ciò che ci dà la spinta, lo stimolo: vogliamo “esser trovati già vestiti, non nudi”, “non volendo venire spogliati ma sopravvestiti, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. È Dio che ci ha fatti per questo e ci ha dato la caparra dello Spirito”. Ciò che è mortale viene assorbito dalla vita. La nostra vita destinata alla morte, alla fine, alla caducità, viene assorbita dalla Vita. La nostra vita non è qualcosa da negare, da buttare via, da togliere, ma è la materia prima preziosa, amata da Dio, trasformata, trasfigurata nella Vita Eterna, la Vita di Dio. La nostra vita è una tensione tra dimora ed esilio. Relativizzare la nostra quotidianità e immergerci completamente in essa. Non è questa la fede e la “caparra dello Spirito”?
Paolo ci comunica oggi tutta la sua straordinaria, profondissima esperienza del dramma della mortalità e della grandezza della speranza cristiana. Mi pare splendida la sapienza con la quale egli intreccia gli elementi fondamentali della nostra fede pasquale con i dati propri della nostra esperienza esistenziale. Si tratta di una dinamica molto viva, spesso addirittura una lotta che ognuno combatte in se stesso. Al ver.16 si dice che “non ci scoraggiamo” (alla lettera si potrebbe rendere con “non veniamo meno”), perchè ci è concessa un’esperienza viva, proprio attraverso il nostro quotidiano rapporto con la Parola di Dio, di un incessante rinnovamento che contrasta – va in direzione opposta! – con l’inevitabile decadenza della nostra vita fisica. Rientra in questo la vicenda delle nostre tribolazioni (ver.17) che vengono oramai relativizzate, cioè riferite al volto pasquale della nostra vita, e quindi vissute come quella celebrazione della Croce che guarda alla speranza della risurrezione. Il ver.18 afferma infatti che la nostra attenzione interiore si fissa in modo privilegiato sulle realtà invisibili ed eterne.
“Sappiamo infatti…”: così esordisce il cap.5 che in questi primi 10 versetti sintetizza tutto il deposito della rivelazione cristiana intorno al mistero della morte e della vita eterna. La nostra realtà corporea viene paragonata con due immagini molto efficaci ad una casa – la nostra casa su questa terra – e ad un vestito. Al posto di questa abitazione terrestre che si va disfacendo, riceveremo una dimora eterna (ver.1). Questo ci porta addirittura a desiderare – “sospiriamo…desiderosi di rivestirci…”; qui l’immagine è quella del vestito – di morire, cioè di “passare”(in senso pasquale) da questo mondo a Dio. Ma al ver.3 Paolo introduce una nota fondamentale:”..a condizione però di essere trovati già vestiti, non nudi”! Questo mi porta istintivamente a pensare all’abito battesimale dei cristiani, quello che per gli ebrei sarà la “giustizia” del loro vincolo fedele con la Legge di Dio, e per le genti sarà quella “carità” che secondo Matteo 25,31-46 mette i pagani, e più generalmente i non-credenti, in contatto vero con il mistero stesso di Dio e del suo Cristo.
Il ver.4 mi pare di poterlo leggere come quell’inevitabile paura-fatica umana di fronte alla morte, che si manifesta nel desiderio di “non venire spogliati – nella nudità della morte! – ma sopravvestiti, perchè ciò che è mortale venga assorbito dalla vita”. A questo insopprimibile desiderio dell’uomo Dio viene incontro con il dono dello Spirito, dono non ancora nella sua pienezza finale, ma come “caparra”, cioè esperienza già presente che ci consente di intravedere e in certo modo sperimentare la vita eterna. Secondo il ver.6, questo ci riempie di fiducia, nella consapevolezza che il nostro “esilio dal corpo” sarà la possibilità piena di “abitare presso il Signore”(ver.8). E’ proprio questa prospettiva, e quindi questa certezza di dover comparire davanti al tribunale di Cristo, che ci spinge a cercare di essergli graditi.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Non vogliamo essere spogliati, ma sopravvestiti, affinchè ciò che è mortale venga assorbito, sia inghiottito dalla vita. Nel libro della Genesi leggiamo del sogno di Giuseppe, dove le 7 mucche magre e brutte inghiottono le 7 belle e grasse, senza lasciarne traccia. Al v. 4 Paolo afferma che noi vogliamo che tutto prenda la direzione contraria, che tutto sia inghiottito dalla vita, secondo anche l’immagine del Vangelo di Giovanni dal parto della donna. Essa è afflitta, ma quando ha dato alla luce il bimbo non si ricorda più della afflizione, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. La prima parte del versetto, il non volere esser spogliati ma sopravvestiti, ci avverte peraltro che non si tratta che all’attuale vita se ne sostituirà una migliore, ma che tutte le cose, in particolare l’afflizione, la tribolazione e persino la morte trovano il loro senso e sono trasformate da questo inghiottimento operato dalla vita; entrano cioè nel ritmo dalla Pasqua. Filippesi 1,21-23 si avvicina molto ai vv6-9 di oggi. Oggi viene anche sottolineata la possibilità, da adesso, di fissare lo sguardo sulle cose invisibili e durature. La contemplazione delle Scritture che ci è data quotidianamente, non come lettera che uccide, ma come spirito che vivifica, è mio spazio proivilegiato di ciò.
La prospettiva della eterna tutta positiva, serena, di speranza, di vita, di pienezza, di “smisurata gloria” descritta oggi da Paolo mi sorprende. Mi è piaciuto molto il commento di Lucy, che riporta, con maggior chiarezza, quello che avevo confusamente pensato nella preghiera di stamattina.
“non ci scoraggiamo!”
“siamo pieni di fiducia!”
“ci sforziamo di essere a lui graditi”
Anche se “il nostro uomo esteriore si va disfacendo” (com’è vero soprattutto per noi veterani!), tuttavia “quello interiore si rinnova di giorno in giorno”. Non dobbiamo pensare però che l’uomo interiore sia solo la nostra parte spirituale, contrapposta a quella materiale: tutta la nostra persona è un uomo nuovo, una nuova creatura, dotata fin da ora di una vita di qualità superiore e indistruttibile, grazie alla caparra dello Spirito. Conosciamo la tribolazione, ma pregustiamo anche la gloria. – Al v. 1 compare anche il termine “tenda”, una bella immagine che sottolinea la provvisorietà del nostro stato attuale. Inoltre, c’è un “ean” che sarebbe meglio tradurre con “se”, piuttosto che con “quando”: “se sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è una tenda, riceveremo da Dio una dimora… eterna, nei cieli”, cioè in Dio, nella sfera a Lui propria. – Il v.3 è stato tradotto meglio così (da Penna): “se pur saremo trovati ancora vestiti, non già nudi”; non esprime quindi una condizione perché possiamo assumere il nuovo vestito. Camminando nella fede, sappiamo che ciò che è mortale viene assorbito dalla vita e che il destino che il Padre ci ha preparato è di “abitare presso il Signore”. Nemmeno l’immagine del tribunale di Cristo può impaurirci: è solo uno stimolo a ben operare per “essere a lui graditi”.