Da BOLOGNA SETTE
Domenica 7 agosto 2011
Per il 31° anniversario della strage, l’omelia di GIOVANNI SILVAGNI (vicario generale)

Ci siamo messi in ascolto della Parola che oggi la Chiesa dispensa ai suoi figli che vanno a Messa, ovunque si trovano. La circostanza particolare della nostra convocazione viene così ad interagire con queste parole, dalle quali cerchiamo di cogliere alcune luci. «Perché non avete temuto di parlare contro il mio servo, contro Mosé». Non si può disprezzare l’eletto di Dio, senza offendere Dio stesso e rovinare se stessi. Questo ci insegna la pagina severa del libro dei Numeri. L’amore di Dio – che sa denunciare e punire il peccato – sa anche perdonare e riabilitare. E proprio Mosé – offeso dai suoi fratelli – raccoglie la loro richiesta di aiuto e prega perché siano perdonati e risanati dalle conseguenze del loro peccato. L’offeso si fa intercessore dei suoi accusatori, perché l’amore fraterno e la solidarietà vicendevole sanno aprirsi al perdono. Siamo qui davanti a Dio, che ascolta il grido del sangue innocente che a cominciare da Abele è stato versato, e in maniera impressionante ha impregnato anche la nostra terra.

Siamo qui davanti al Giudice che chiede ragione della vita dell’uomo e mette ciascuno davanti alle sue responsabilità. «Come hai potuto stendere la mano contro tuo fratello?». Se anche nessuno ne ascoltasse il grido, il sangue di ogni innocente grida e Dio ne ascolta la voce e interviene per rendere giustizia. Ma la giustizia di Dio non è mai vendetta! Piuttosto la giustizia di Dio è intervento di salvezza e noi l’abbiamo sperimentata nel suo Figlio Gesù fatto uomo, morto e risuscitato per la salvezza di tutti. Allora la Giustizia di Dio è anzitutto pieno risarcimento alla vittima di tutto quello che la morte gli ha strappato; attraverso Gesù, Dio riscatta la vita dei suoi servi, Dio non ci abbandona nelle angosce della morte, e grande presso di lui è la redenzione. Inoltre la giustizia di Dio è anche tenace inseguimento del colpevole, la cui condizione – ben più infelice e miserabile di quella delle sue vittime – può anch’essa ottenere misericordia, se c’è pentimento e richiesta di perdono.

La nostra civiltà ha da tempo ripudiato la pena di morte, anche per i delitti più efferati. Non si risponde alla morte con la morte, non si vince la morte con la morte, non si risarcisce la morte con la morte. Sappiamo bene – sulla nostra pelle – come tutto questo non sia istintivo, ma frutto di una lunga e sofferta elaborazione che trae la sua forza in un imperativo che ha impregnato la nostra società. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene. Non fare agli altri quello che non vuoi che sia fatto a te. Tutto quanto ti aspetti dagli altri, tu per primo offrilo in dono, e fa di questo la misura del tuo agire. Solo su queste basi si può costruire un futuro affidabile. Ora che quegli anni ’80 dalla cronaca stanno passando alla storia, abbiamo il dovere di riconoscere e di onorare lo sforzo morale enorme che la nostra città e il nostro paese hanno saputo mettere in atto per reagire all’incalcolabile danno delle stragi, del terrorismo, delle uccisioni mirate, che avevano lo scopo di destabilizzare la sostanziale coesione democratica del nostro paese, buttandolo in pasto all’anarchia o alla dittatura. Progetto dissennato e senza futuro, eppure così prepotente e devastante.

Ma da queste guide cieche la nostra società non si è lasciata sedurre né intimorire, ma ha reagito con pazienza, ricomponendosi dalle macerie e dalle devastazioni e riprendendo la sua strada. E le vittime di quegli anni difficili? Dove sono finite – con i loro nomi, le loro storie, i loro affetti, i loro progetti – quell’immenso capitale umano eliminato brutalmente provocando un immenso ed esponenziale irradiarsi di dolore e di sgomento tra i familiari, gli amici e in tutti noi? Le vittime non sono stati gli assenti giustificati di questi anni: esse sono presenti nel nostro affettuoso ricordo di cui anche questa celebrazione vuole essere segno. Ma ancor di più essi sono presenti alla nostra storia perché l’amore di Dio è anzitutto redenzione di chi è stato vittima indifesa e innocente. In forza dell’amore di Cristo che ha dato la sua vita per tutti, nessuno è dimenticato da Dio, nessuno è abbandonato nelle angosce della morte. E nella sua potenza Dio è capace di fare delle vittime i protagonisti invisibili ed efficaci di una storia diversa, che si realizza anche grazie al loro contributo. Di questo dato di fede è riflesso un misterioso e inspiegabile sentimento che ce li fa sentire istintivamente vicini e solidali, anche se invisibili, angeli e presenze amiche, esperte della brutalità del male e ancor di più della bontà di Dio che ha già asciugato tutte le loro lacrime. Presi per mano da queste presenze amiche, noi possiamo affacciarci sull’abisso del male accaduto senza esserne risucchiati, anzi traendo nuovo slancio per vivere e far vivere, tutta la nostra comunità.