1 Voi stessi infatti, fratelli, sapete bene che la nostra venuta in mezzo a voi non è stata inutile. 2 Ma, dopo aver sofferto e subìto oltraggi a Filippi, come sapete, abbiamo trovato nel nostro Dio il coraggio di annunciarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte. 3 E il nostro invito alla fede non nasce da menzogna, né da disoneste intenzioni e neppure da inganno; 4 ma, come Dio ci ha trovato degni di affidarci il Vangelo così noi lo annunciamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori. 5 Mai infatti abbiamo usato parole di adulazione, come sapete, né abbiamo avuto intenzioni di cupidigia: Dio ne è testimone. 6 E neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi né da altri, 7 pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo. Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. 8 Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari.
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La vicenda meravigliosa dell’annuncio del Vangelo rivelata nel testo precedente viene ora severamente analizzata attraverso l’analisi delle disposizioni interiori, delle intenzioni profonde, e quindi dell’orientamento e della radicale dedizione di chi proclama e in ogni modo testimonia e annuncia la Parola.
Per questo Paolo fa rapido cenno all’inizio del suo ministero presso i Tessalonicesi, dopo le prove e gli ostacoli subiti a Filippi, di come egli abbia trovato in Dio la forza e la determinazione di annunciare loro il Vangelo “in mezzo a molte lotte”. E’ conferma che tali difficoltà fanno parte dell’annuncio stesso e non ne possono costituire una causa di rinuncia: così il ver.2. Il ver.3 mette in evidenza la radicale limpidità di intenzioni e di intenti: nè menzogna, nè disoneste intenzioni nè inganno. L’annuncio del Vangelo infatti, mi sembra voglia dirci il ver.4, prima di essere riferimento e relazione con le persone, è obbedienza al mandato del Signore, e dunque guidato e giudicato da Dio stesso: “…noi lo annunciamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori”.
Questo libera l’opera dell’annunciatore da ogni tentazione di compiacenza e di adulazione, e tiene lontano il rischio di potere e di possesso: è quella “cupidigia” contro la quale Dio stesso è testimone (ver.5). Allo stesso modo l’annuncio evangelico non può essere ricerca di gloria mondana e di vanitoso possesso delle persone. E’ interessante a questo proposito il ver.7 dove si evidenzia che la stessa “autorità-autorevolezza” della missione apostolica non può diventare occasione e pretesto di un potere sulle persone.
Tutto questo sembra, nel nostro brano, costituire la grande premessa e l’esigente condizione, per evidenziare il volto profondo della testimonianza evangelica. Qui, al ver.7, ci incontriamo con una “questione” di vocabolario che a me pare molto interessante e importante. Infatti, in molti manoscritti biblici invece della parola “amorevoli” si trova la parola “piccoli”. Dunque Paolo dice “siamo stati amorevoli in mezzo a voi” e conferma ciò con l’immagine sublime della “madre che ha cura dei propri figli”. Questa sembra essere quindi l’ipotesi più verosimile. Tuttavia, mi affascina anche il pensiero che tale amorevolezza materna richiami ed esiga un “essere piccoli” che taglia alla radice tutte le ipotesi di seduzione e di possesso indicate nei versetti precedenti, e adorna la “maternità” dell’annunciatore del Vangelo dell’essenziale nota di quella piccolezza nella quale Gesù per primo è entrato per la nostra salvezza. Piccolezza che è comune patrimonio di ogni persona che voglia incontrare, nutrire, proteggere…amare! Per questo, mi permetto di suggerire di tener presente la nota della piccolezza per ammirare fino in fondo la “maternità” che è propria del ministero evangelico, chiunque sia ad esercitarlo, dal grande Apostolo delle genti, fino al bambino che del Vangelo ci dà testimonianza e annuncio.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
vv. 1-2 Paolo ricorda che ha predicato il Vangelo in mezzo a molte tribolazioni e dolore. Questo ci aiuta a ricordare che nella nostra vita al servizio del Signore, troviamo non solo vantaggi ma anche difficoltà e fatiche. Saremmo contenti di avere sempre pace e tranquillità, ma le parole di oggi ci dicono che le difficoltà nel servizio di Dio sono parte della nostra vita cristiana.
Poi vuole aggiungere molte parole per dire anche tutto quello che non ha fatto (vv. 3-6). Vuole che il Vangelo sia gratuitamente dato; non vuole trarre vantaggio da esso, nè essere lui – Paolo – a vivere, ma Gesù dentro di lui. Il suo stesso amore per i tessalonicesi è l’amore di Cristo per loro. E anche quello che “ha fatto” di positivo non viene da lui, dunque, ma è di Cristo in lui.
Paolo ha rifiutato di predicare il vangelo per averne guadagni illeciti; ma ha pure rinunciato a ciò che sarebbe suo diritto in quanto apostolo. Ha fatto questo perchè vuole seguire l’esempio del Signore Gesù.
vv. 7-8 Paolo mostra i suo amore materno per i tessalonicesi: vuole dare loro il Vangelo, e insieme, la sua stessa vita.
Dio avrebbe potuto darci il Vangelo, e la salvezza senza darci la Sua vita. Invece ha scelto la strada del dono della vita. Ciò cha anche Paolo è pronto a fare. E la Buona Notizia che ci è stata annunciata, è venuta a noi insieme al dono di essere fatti figli di Dio, nella comunione con Lui, partecipi della stessa vita.