1 Riguardo a ciò che mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo non toccare donna, 2 ma, a motivo dei casi di immoralità, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito.3 Il marito dia alla moglie ciò che le è dovuto; ugualmente anche la moglie al marito. 4 La moglie non è padrona del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è padrone del proprio corpo, ma lo è la moglie. 5 Non rifiutatevi l’un l’altro, se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera. Poi tornate insieme, perché Satana non vi tenti mediante la vostra incontinenza. 6 Questo lo dico per condiscendenza, non per comando. 7 Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno riceve da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in un altro.
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Questo tema del matrimonio e della verginità è il primo argomento sul quale Paolo risponde a quesiti che i Corinti gli hanno posto scrivendogli una lettera: “Riguardo a ciò che mi avete scritto…” (ver.1). Nella lettera si chiedeva forse se “è cosa buona per l’uomo non toccare donna”. Paolo risponde, al ver.2, non negando questa ipotesi, ma affermando che “a motivo delle fornicazioni (così, alla lettera), ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito”. Il matrimonio è celebrazione dell’amore di Dio quale nella sua pienezza è stato rivelato e donato da Gesù con l’offerta della sua vita. I versetti seguenti del nostro brano ne descrivono il senso profondo. Nel matrimonio ognuno dei coniugi offre se stesso nella realtà del suo corpo, di cui non è più padrone. E’ un’espressione molto forte che collega il nostro testo a quello precedente dove il corpo veniva indicato come la sede del sacrificio d’amore.
Nel matrimonio si celebra il sacrificio d’amore per il quale non si appartiene a se stessi, ma ognuno “è dell’altro”. Tale è il significato profondo del ver.4. Per questo, solo per un “comune accordo” e “per dedicarvi alla preghiera” è possibile l’astensione dall’incontro coniugale. Astensione che non può essere che temporanea. Così al ver.5, con all’indicazione di “tornare insieme”, per sottrarsi a tentazioni che condurrebbero fuori dal vincolo nuziale. D’altra parte il matrimonio non può essere un “comando”: è un’indicazione data “per concessione, non per comando”.
Al ver.7 Paolo dice che vorrebbe “che tutti fossero come me”. Paolo forse era nella verginità, o forse, data la sua precedente condizione di zelante fariseo, e come tale legato allo stretto obbligo del matrimonio come via per continuare a vivere nei propri figli, qualcuno ritiene fosse vedovo. “Ma ciascuno riceve da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in un altro”. E qui, probabilmente i due “modi” indicano il matrimonio e l’altra via, quella della verginità, che sarà in seguito descritta. Entrambi tali condizioni celebrano il dono di sé, l’offerta d’amore della propria vita.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Mi pare che Paolo parli di matrimonio, verginità, sessualità con chiarezza, senza reticenze (come faremmo noi), riconoscendo e valorizzando la corporeità, la “materialità” delle relazioni. Presenta, nella relazione sponsale, una specie di “perdita di possesso” rispetto al proprio corpo, cioè alla persona nel suo complesso, materiale e spirituale: “La moglie non è padrona del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è padrone del proprio corpo, ma lo è la moglie”(v.4). Nei versetti di ieri ci diceva che “il corpo è per il Signore e il Signore è per il corpo”. Apparteniamo quindi al Signore e alla persona con cui condividiamo la vita: è la bellezza (e il proposito) di una esistenza donata. E difatti, al v.7, Paolo lo dice e lo sottolinea in modo che non ci siano dubbi: qualunque sia la condizione in cui viviamo, c’è un dono, un carisma per tutti: “Ciascuno riceve da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in un altro”(v.7).