6 Non è bello che voi vi vantiate. Non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta? 7 Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! 8 Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità.
9 Vi ho scritto nella lettera di non mescolarvi con chi vive nell’immoralità. 10 Non mi riferivo però agli immorali di questo mondo o agli avari, ai ladri o agli idolatri: altrimenti dovreste uscire dal mondo! 11 Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello ed è immorale o avaro o idolatra o maldicente o ubriacone o ladro: con questi tali non dovete neanche mangiare insieme. 12 Spetta forse a me giudicare quelli di fuori? Non sono quelli di dentro che voi giudicate? 13 Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete
1Corinzi 5,6-13

Non mi riesce chiara l’osservazione di Paolo circa il “vantarsi” dei Corinti. Forse si vantano di una loro presunta larghezza mentale che li porta a giustificare anche vicende come quella citata più sopra? E’ in ogni modo molto netta e luminosa l’esigenza di accogliere e custodire la radicale novità della condizione cristiana. In Gesù tutto è nuovo. Evocando ampiamente la rigorosa eliminazione da parte dei credenti ebrei di tutto quello che era “vecchio” quando sta per giungere la festività pasquale, al ver.6 si cita la pericolosità del “lievito”. Infatti, per far lievitare si conserva – o si conservava! – un resto dell’impasto precedente. Ma adesso tutto deve essere nuovo, e quindi “azimo”, cioè non-lievitato. Il ver.7 proclama l’esigenza assoluta di questa totale novità, senza sconti: bisogna essere, in Gesù e nella sua Pasqua, “pasta nuova, azimi”! Questa radicale e assoluta novità della condizione umana è donata e interpretata dalla Pasqua del Signore: “Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato”. “Nostra Pasqua” significa che Gesù è il vero nostro “Agnello” pasquale. La sua immolazione, il suo sacrificio d’amore, è il principio della vita nuova che Dio dona all’umanità. Chi riceve questo dono è “nuova creatura”. E’ la grande festa della vita nuova, e il ver.8 chiede che tale festa sia celebrata “non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità”. Qui s’impone una considerazione che ritengo decisiva: è da questo assoluto dono della vita nuova che scaturisce la nuova etica “di sincerità e verità”!! Con S. Agostino diciamo che dobbiamo quindi “diventare quello che siamo”. La vita deve essere adeguata, deve incessantemente adeguarsi al dono ricevuto. La morale cristiana non è una morale razionale o naturale. E non è quindi una semplice normativa, ma incessantemente scaturisce dal dono del Vangelo e nel Vangelo incessantemente si illumina e cresce. Su questo dobbiamo sempre riflettere con molta attenzione! Anche perché, se questo è vero, l’etica cristiana non può essere che un’etica della festa e della gioia. Magari talvolta faticosa per la nostra povera “ciccia”, ma pur sempre festa e gioia. Scusate le lungaggini!
In tal senso i vers.9-10 sono di estrema importanza e attualità: l’ingiunzione di “non mescolarvi con chi vive nell’immoralità (alla lettera, “con i fornicatori”)” e la precisazione seguente, secondo la quale la disposizione non riguarda “i fornicatori di questo mondo”, chiarisce che se da una parte noi dobbiamo pretendere da noi stessi con severità di “essere azimi”, cioè di vivere secondo il dono ricevuto dal Signore, non possiamo pretendere tale rigore da chi il dono della fede non l’ha ricevuto. Il che lo porta a dire: “Spetta forse a me giudicare quelli di fuori?” (ver.12). Quelli di fuori sono nelle mani di Dio: “Quelli di fuori li giudicherà Dio” (ver.13).
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
In precedenza Paolo denunciava l’immaturità spirituale dei Corinzi a comprendere la vera sapienza. Questa incapacità è provata dal fatto che non sanno integrare fede e opere nella vita quotidiana, per seguire il comandamento di Cristo.
Paolo non usa mezzi termini: condanna anche l’atteggiamento consenziente: buttate vita il lievito vecchio che può rovinare tutta la pasta; non mescolatevi “ con chi si dice fratello ed è immorale o avaro o idolatra o maldicente o ubriacone o ladro, anzi, togliete il malvagio di mezzo a voi”.
L’apostolo ricorda il dovere missionario verso i pagani, “quelli di fuori”, non riferendosi a questi nel suo rimprovero; invita i cristiani a correggere chi sbaglia, quelli di dentro che voi giudicate, con lievito nuovo, con azzimi di sincerità e di verità.
Didachè cap.4: O figlio, ti ricorderai notte e giorno di colui che ti predica e lo onorerai come il Signore, perché là donde è predicata la sovranità è il Signore. Non sarai causa di discordia, ma cercherai invece di mettere pace tra i contendenti; giudicherai secondo giustizia e non farai distinzione di persone nel correggere i fedeli”.
Man mano che approfondiamo la Parola e la interiorizziamo ci accorgiamo dei tempi vuoti della nostra vita. Questo forse è il momento, il tempo che Dio aveva stabilito per
conoscere il suo amore per noi e della possibilità che anche noi possiamo amarlo.
La correzione fraterna deve avere solo uno scopo: far prendere coscienza che il fratello può farcela anche lui.
I primi, bellissimi versetti ci vengono proposti dalla liturgia pasquale. Al centro, l’affermazione: “Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato”. Cos’era la pasqua degli ebrei? Eliminare il vecchio lievito; consumare l’agnello pasquale; mangiare il pane nuovo, gli azzimi. Analogamente per noi oggi: abbandonare il vecchio, che non è solo il peccato, ma anche l’attaccamento e la dipendenza dalla religione, dalle sue concezioni (così lontane da quelle del Vangelo) e dalle sue pratiche. Poi “comunione” con l’agnello pasquale, Gesù: uniti a lui e nutriti di lui, della sua parola, della sua carne. Infine l’immergerci e il vivere nella vita nuova che ci viene data, la vita da figli del Padre e di fratelli, singolarmente e tutti insieme nuovo santuario di Dio.
Questo capitolo quinto mi confonde.
Anche in questa pericope ricorre un verbo che Gesù ha praticato molto: “mangiare insieme”. E lo ha fatto proprio con ladri, pubblicani e peccatori. E persino con i farisei, che lo hanno criticato ed escluso proprio perché mangiava insieme con questi immorali.
Mi pare che Paolo, se posso permettermi di dire così, metta una pezza vecchia sul vestito nuovo della pasqua. Chi può ritenersi “senza-peccato” al punto da espellere il malvagio dalla comunità? Non siamo forse tutti malvagi, tutti immorali?
Chiedo scusa per i miei sproloqui. Ma resto confuso da questa discrepanza tra quanto dice Paolo e quanto ha fatto Gesù.