13 Perciò chi parla con il dono delle lingue, preghi di saperle interpretare. 14 Quando infatti prego con il dono delle lingue, il mio spirito prega, ma la mia intelligenza rimane senza frutto. 15 Che fare dunque? Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza; canterò con lo spirito, ma canterò anche con l’intelligenza. 16 Altrimenti, se tu dai lode a Dio soltanto con lo spirito, in che modo colui che sta fra i non iniziati potrebbe dire l’Amen al tuo ringraziamento, dal momento che non capisce quello che dici? 17 Tu, certo, fai un bel ringraziamento, ma l’altro non viene edificato. 18 Grazie a Dio, io parlo con il dono delle lingue più di tutti voi; 19 ma in assemblea preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza per istruire anche gli altri, piuttosto che diecimila parole con il dono delle lingue.
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Il primato della comunione e dell’amore fraterno è chiaramente la sostanza di tutta la vita dei credenti. Ogni dono del Signore deve essere accolto e celebrato per edificare la comunione, fino al punto che si deve pensare che ogni dono dello Spirito ha il suo valore in relazione alla sua potenza di edificazione della comunità. Per questo, “chi parla con il dono delle lingue” deve pregare “di saperle interpretare” (ver.13). Mi permetto di dilatare il significato di questa indicazione anche al di là del tema del parlare con il dono delle lingue, nel senso che è senza significato tutto quello che uno vivesse per sé e non in vista della comunione fraterna.
La possibilità che questo illumini la mente è dunque decisiva. E lo è anche per la persona stessa che manifesta il dono, perché anche la sua “intelligenza” deve rimanere illuminata da quel dono. Allora lo stesso “pregare con lo spirito” deve essere anche pregare “con l’intelligenza”. Così i vers.14-15. Ma in ogni modo il criterio di interpretazione è sempre l’ “altro”. Il ver.16 fa il caso di chi “sta fra i non iniziati”, cioè non è partecipe del dono e ne resta escluso. Se si prega solo con lo spirito e non anche con l’intelligenza, cioè traducendo il parlare in lingue in una parola comprensibile, l’altro come “potrebbe dire l’Amen al tuo ringraziamento”? Egli rimarrebbe escluso dalla tua preghiera “dal momento che non capisce quello che dici”, e “non viene edificato” (ver.17).
Infine Paolo cita il suo stesso esempio. Pur essendo dotato più di ogni altro del dono delle lingue, dice: “In assemblea preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza per istruire anche gli altri, piuttosto che diecimila parole con il dono delle lingue” (vers.18-19). Questo insegnamento è molto più importante di quello che a prima vista si possa pensare. Verifico continuamente come una persona che sia in qualche modo “esterna” rispetto al linguaggio “religioso”, si senta estraniata e lontana se noi non teniamo in gran conto che il Signore ha voluto assumere tutta la nostra umanità per volgersi e per chiamare ogni uomo e donna, qualunque sia la sua condizione, la sua cultura e la sua tradizione di pensiero e di fede religiosa. Esprimersi quindi con un linguaggio molto “laico” non è negare la nostra fede, ma, al contrario, è la via per comunicare i nostri tesori ad ogni condizione e ad ogni “linguaggio”.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Non abbiamo il dono delle lingue, però anche nelle nostre eucarestie, siamo confrontati con problemi “sonori” e di intelligibilità…….. nello scambio sulla lectio…….chi parla lo faccia in modo che il suo suono sia intelligibile e così chi ascolta potrà dire il suo “Amen!”……così anche nella partecipazione assembleare alla liturgia nessuno faccia mancare il suo contributo di cuore e di voce nel dialogo liturgico e nel canto ……..e, quanto al pregare anche con l’intelligenza e al “salmeggiare con sapienza” sappiamo tutti come sia facile scollegarsi interiormente con la parola che è sulle nostre labbra….
“mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa…….!”
In assemblea – dice Paolo – preferisco dire cinque parole comprensibili che diecimila parole che i presenti non capiscono. Un’affermazione chiara e forte, nonostante che parole e pensieri di questa lettera non siano per noi sempre di facile comprensione. Quanto ai partecipanti all’assemblea, abbiamo qui una importante testimonianza storica: i presenti ascoltavano e poi suggellavano con il loro Amen il ringraziamento e la lode espressi dalla persona ispirata. – Ispirazione e ragione vanno di comune accordo, ognuno arricchisce ed equilibra l’altro, in modo da raggiungere il cuore degli ascoltatori e pervenire alla lode del Padre.