XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Luca 18,9-14
9 In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: 10 «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
11 Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12 Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. 13 Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore.
14 Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».
1) Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di essere giusti (Vulgata: ...che confidavano in se stessi in quanto giusti): è un grande richiamo all'umiltà, un gesto di carità del Signore verso queste persone che pensano di essere giuste, nelle quali ci possiamo riconoscere tutti.
2) Il fariseo, stando in piedi, pregava così fra sé (greco: verso se stesso pregava queste cose): il testo evidenzia che il fariseo, chiuso in se stesso, sta bene in questa sua prigionia; in un certo senso, richiama l'atteggiamento del ricco epulone che, incurante del povero che giace alla sua porta, ogni giorno lautamente banchetta.
3) O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini...: il fariseo inizia la preghiera accusando gli altri uomini di essere peccatori e la conclude compiacendosi delle sue virtù. In realtà la sua non é affatto una preghiera perché manca di umiltà, che è la prima caratteristica della preghiera. Gesù nella conclusione di questa parabola dirà: Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato.
4) Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore...: questa preghiera del pubblicano è bellissima: non si avvicina all'altare, non chiede niente, sta male, è consapevole di essere in una condizione di prigionia, vede solo il suo peccato davanti al quale ogni altra cosa scompare. Le sue parole O Dio, abbi pietà di me peccatore sono un grido che giunge fino a Dio.
5) Questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro: si può pensare che il pubblicano si accorga di essere giustificato e questo sarebbe bello perché se non ci si accorge delle opere di Dio non si può neppure ringraziarlo. Si può pensare anche che entrambi tornino a casa senza aver capito: il fariseo credendo di essere a posto e il pubblicano credendo di essere ancora nel peccato. Sarà poi il Signore a trovare il modo di far luce nei loro cuori.
6) Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato: Dio si compiace dell'umiltà. Questa massima, che si ispira ad Ez 21,31: Ciò che è basso sarà elevato e ciò che è alto sarà abbassato, condanna l'orgogliosa sicurezza del fariseo. In Lc 16,15 Gesù dice ai farisei che si beffavano di lui: Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio.
Sir 35,12-14.16-18(gr.)
12 Il Signore è giudice | e non v’è presso di lui preferenza di persone. | 13 Non è parziale con nessuno contro il povero, | anzi ascolta proprio la preghiera dell’oppresso. | 14 Non trascura la supplica dell’orfano | né la vedova, quando si sfoga nel lamento.
16 Chi venera Dio sarà accolto con benevolenza, | la sua preghiera giungerà fino alle nubi. | 17 La preghiera dell’umile penetra le nubi, | finché non sia arrivata, non si contenta; | 18 non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto, | rendendo soddisfazione ai giusti e ristabilendo l’equità.
1) ...ascolta proprio la preghiera dell’oppresso: il tema della preghiera del povero e del grido nell’afflizione descrive spesso, nella storia della salvezza, il rapporto di Israele con il suo Dio (cfr. Dt 26,7: Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione e Sal 105(106),44: Pure egli guardò alla loro angoscia quando udì il loro grido).
2) Non trascura la supplica dell’orfano né della vedova, quando si sfoga nel lamento: tra i piccoli e gli oppressi emergono le figure dell’orfano e della vedova, tradizionali categorie di indigenti che la legge di Israele difende e tutela (cfr. Es 22,21-22: Non maltratterai la vedova e l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io ascolterò il suo grido), e insieme segno forte di una povertà più profonda, assenza della paternità e delle nozze.
La vedova di oggi ricorda quella che abbiamo incontrata domenica scorsa nel Vangelo che chiedeva giustizia contro il suo avversario.
3) …la sua preghiera giungerà fino alle nubi. La preghiera dell’umile penetra le nubi, finché non sia arrivata, non si contenta: la preghiera raggiunge le nubi, luogo dove abita Dio (cfr. Sal 103(104),3: Costruisci sulle acque la tua dimora, fai delle nubi il tuo carro, cammini sulle ali del vento). Da grido nella povertà e nell’oppressione qui la preghiera diventa occasione di comunione e di incontro, via semplice e potente che avvicina il cielo e la terra. S. Teresa di Gesù bambino nei suoi scritti dice: “Per me la preghiera è uno slancio del cuore, è un semplice sguardo gettato verso il cielo, è un grido di gratitudine e di amore nella prova come nella gioia, insomma è qualche cosa di grande, di soprannaturale, che mi dilata il l’anima e mi unisce a Gesù”.
4) Non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto: per parlare dell’intervento di Dio, la versione dei Settanta usa qui un verbo che può significare anche “osservare, considerare” (Vulgata: aspicere). In altri passi lo usa per descrivere l’atto di Dio di “guardare e prendersi cura” (cfr. Es 3,16: …sono venuto a vedere voi e ciò che vien fatto a voi in Egitto e Sal 8,5: Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi?) e ancora con il significato di “visitare” per correggere e per punire (cfr. Es 32,34: …nel giorno della mia visita li punirò per il loro peccato) o per soccorrere e consolare (cfr. Gn 50,24: …Dio verrà certo a visitarvi e vi farà uscire da questo paese verso il paese ch’egli ha promesso… e Rt 1,6: …il Signore aveva visitato il suo popolo, dandogli pane).
2 Tim 4,6-8.16-18
6 Carissimo, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. 7 Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. 8 Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione.
16 Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Non se ne tenga conto contro di loro. 17 Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili: e così fui liberato dalla bocca del leone. 18 Il Signore mi libererà da ogni male e mi salverà per il suo regno eterno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
1) Il mio sangue sta per essere sparso in libagione: Paolo fa dell’uso giudaico delle libagioni versate sulle vittime dei sacrifici nel tempio una applicazione al culto nello Spirito inaugurato dal Cristo: Cristo… non con sangue di capri e di vitelli…, ma con il proprio sangue entrò una volta per sempre nel santuario (Eb 9,12). Il sangue che Paolo versa per la sua fedeltà al Vangelo si unisce a quello del Signore e costituisce la pienezza del suo discepolato e del suo rendere gloria a Dio.
2) Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede: alla fine della sua vita l’apostolo può affermare di essere rimasto fedele al Signore. A questo proposito vedi Atti 20,20-21: Ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei. Sapete che non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile al fine di predicare a voi… scongiurando Giudei e Greci di convertirsi a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù. La fedeltà alla parola della croce (cfr. 1 Cor 1,17-18) conduce Paolo ad essere partecipe della Pasqua del Signore: Quanto a me... se io prédico ancora la circoncisione, perché sono tuttora perseguitato? E’ dunque annullato lo scandalo della croce? (Gal 5,11).
3) Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore… mi consegnerà… e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione: questa corona è la corona della vita che il Signore concede all’uomo che sopporta la tentazione e la prova (cfr. Gc 1,12) per amore. E’ questo stesso amore del Signore che permette all’apostolo di porsi con fiducia davanti al giudizio di Dio: Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore (1 Gv 4,18). La fede di Paolo nella fedeltà di Dio diventa poi immediatamente certezza della fedeltà del Signore verso tutti, consolazione rivolta ad ogni uomo, preghiera potente davanti a Dio, come la preghiera del povero che penetra le nubi ricordata nella prima lettura (Sir 35,17).
4) Nella mia prima difesa tutti mi hanno abbandonato… Non se ne tenga conto contro di loro: queste affermazioni di Paolo richiamano il tema del giusto abbandonato, così presente nella Scrittura; come per Gesù sulla croce questa solitudine è visitata da Dio e così il giusto diventa fonte di salvezza e di intercessione anche per chi non l’ha assistito e addirittura per i suoi persecutori (vedi Lc 23,34: Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno).
5) Il Signore mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i gentili: proprio dalla debolezza dell’apostolo, soccorsa solo da Dio, nasce la potenza dell’Evangelo da lui predicato e la sua capacità di raggiungere tutte le genti. A questo proposito vedi 2Cor 12,9: Egli mi ha detto: Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza. Vedi inoltre 1 Tess 1,5: Il nostro vangelo, infatti non si è diffuso tra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con potenza e Spirito Santo e con profonda convinzione.
6) E così fui liberato dalla bocca del leone: il leone qui rappresenta non solo le potenze di questo mondo che nulla possono contro la fede di Paolo, ma più profondamente l’aggressione del maligno (cfr. 1 Pt 5,8: Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro…). Proprio perché Paolo non risparmia la sua vita, ma la perde per il Vangelo, la salva.
7) Il Signore mi libererà da ogni male e mi salverà per il suo regno eterno: Paolo ha conosciuto in Gesù l’amore di Dio, su cui nessun potere di morte può prevalere: Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati” (Rom 8,35-36). Il giusto non è dispensato dal travaglio della morte, ma Dio lo sottrae dal suo potere e proprio dalla morte così vinta nasce la glorificazione della risurrezione (cfr. Eb 2,9: vediamo [Gesù] ora coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto).
SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE
È delicata - e persino imbarazzante - la battuta d'apertura del brano del Siracide, circa non esserci presso Dio "preferenza di persone": la tesi globale dei testi di oggi potrebbe essere proprio quella che afferma un "trattamento" diverso da parte di Dio nei confronti delle persone; anzi, non solo diverso, ma opposto a quello praticato dai giudizi della mondanità e a quello assai diffuso anche tra i credenti. Dio non ama l'affermazione "la legge è uguale per tutti", perché la sua giustizia non è retributiva né vendicativa, ma sempre e solo salvifica. Ecco perché il "trattato male" è quello che di salvezza non ha bisogno, o almeno ritiene di non aver bisogno.
Il grande significato dei testi di oggi, specialmente nell'incrocio tra Siracide e Vangelo secondo Luca, è che a Dio non interessa niente la "positività" delle situazioni, per cui, che il Fariseo faccia tutto bene, non solo non lo commuove, ma addirittura lo preoccupa, perché appunto chi fa tutto bene rischia di attribuirsi una situazione tutta buona, e quindi non bisognosa di interventi sananti.
In tal senso è importante l'osservazione fatta dal nostro commento al brano evangelico che, precisando il testo, corregge la versione italiana sia del primo versetto, sia del secondo, per cui si dovrebbe dire che il Signore rivolge questa parabola a coloro che confidano in se stessi in quanto sono giusti, e disprezzano gli altri. II pubblicano, che, scopertamente e senza possibilità di alibi, si trova davanti al fallimento, allo smacco della sua vita, e di questo è ben consapevole, non trova altra strada che quella di gridare aiuto.
Anche se si potrebbe dire che egli stesso è l'autore del suo male, questo a Dio non interessa, e la povera e splendida preghiera di quest'uomo mascalzone è potente ed efficace come la preghiera del povero del Siracide; la sua preghiera "non desiste finché l'Altissimo non sia intervenuto", è potente e viene ascoltata; per Dio il peccatore è soprattutto un povero, e quando questo povero chiede misericordia, deve essere ascoltato come quei "giusti" del Siracide, per i quali si dice che la loro preghiera "penetra le nubi e finché non sia arrivata, non si contenta,...rendendo soddisfazione ai giusti...".
Poi c'è la povertà di Paolo, quella cioè di chi non solo è tra quei peccatori che Dio ha accolto nella sua misericordia, ma addirittura si investe della stessa misericordia divina e si butta nella storia piccola e grande della gente per celebrare con tutti la meraviglia di quel perdono che lui stesso ha incontrato e che gli ha regalato una vita secondo Dio, splendida. È questa la nostra vita: viviamola alla grande!!