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16 Febbraio 2003

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

 

Marco 1,40-45

40 In quel tempo, venne a Gesù un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!». 41 Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci!».

42 Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. 43 E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: 44 «Guarda di non dir niente a nessuno, ma và, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro».

45 Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.

 

1) Questo brano segue quello di domenica scorsa e continua a mostrarci l’incontro di Gesù con i malati. È interessante confrontare questi versetti con i brani paralleli di Mt 8,1-4 e Lc 5,12-16. Essi sono molto simili nella brevità del racconto, nell’atteggiamento e nelle parole del lebbroso, nelle modalità della guarigione, nella richiesta di adempimento della Legge, nell’esigenza del silenzio. In Mc sono più descritti i sentimenti di Gesù e il non silenzio del lebbroso; Mc e Lc notano la diffusione della fama di Gesù, ma Mc la collega alle parole del lebbroso.

2) Venne a Lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva «Se vuoi, puoi guarirmi» (lett. E venne a Lui un lebbroso invocando e cadendo in ginocchio e dicendo «Se vuoi, puoi farmi puro»): i movimenti e le parole indicano la grande fede del lebbroso e si possono collegare al grido di Giobbe di domenica scorsa (Ricordati che un soffio è la mia vita) e alle parole del Salmo 50,4.9 (mondami dal mio peccato... purificami con issopo e sarò mondo).

3) Mosso a compassione (lett. mosso nelle viscere): è lo stesso verbo di Mc 8,2 (sento compassione di questa folla perché già da tre giorni mi stanno dietro e non hanno da mangiare), di Lc 10,33 (un Samaritano, passandogli accanto, lo vide e ne ebbe compassione) e di Lc 15,20 (partì e s'incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò). Le parabole del buon samaritano e del figlio prodigo aiutano a capire la ricchezza nascosta in questi pochi versetti.

4) Stese la mano, lo toccò e gli disse «lo voglio, guarisci!» (lett. lo voglio, sii purificato): Gesù non ha paura di contaminarsi toccando il lebbroso o un cadavere (cfr. il figlio della vedova di Nain in Lc 7,14), perché ha assunto la miseria della nostra carne fino alla morte. Cfr. Fil 2,7-8 (spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte). S. Tommaso d'Aquino commenta: "Volle anche toccare, per darci un’idea della virtù che c’è nei sacramenti".

5) Ammonendolo severamente: è difficile proporre una traduzione letterale, perché in greco il verbo può esprimere sentimenti di indignazione o di commozione e lo si ritrova nella resurrezione di Lazzaro per esprimere il fremito di Gesù di fronte alla morte dell'amico (Gv 11,38: ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro). Gesù è ancora scosso dalla pietà e dall’ammirazione provate per quel povero malato ed emarginato, così serenamente fiducioso, ma cerca di allontanarlo e di indurlo al silenzio, perché non vuole che la sua persona sia assimilata a quella di un mago o semplice guaritore. Allo stesso modo domenica scorsa aveva messo a tacere i demoni (v. 34).

6) Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto (lett. cominciò a predicare molto e a divulgare la parola): cfr. Mc 1,4 (si presentò Giovanni, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati) e Mc 5,20 (si mise a predicare per la Decapoli ciò che Gesù gli aveva fatto e tutti ne erano meravigliati): è messa in evidenza la potenza incontenibile della predicazione evangelica.

7) Alla fine le parti sembrano scambiate: il lebbroso è reinserito nella comunità, mentre Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città; è diventato Lui l’escluso. C’è quasi il preannuncio del cammino che porterà Gesù a morire fuori da Gerusalemme (cfr. Eb 13,12: Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, patì fuori della porta della città).

 

 

Levitico 13,1-2.45-46

1 Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: 2 «Quando uno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale sarà condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli.

45 Il lebbroso colpito dalla lebbra porterà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: Immondo! Immondo! 46 Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento».

 

1) Quando uno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra: nelle leggi che Israele riceve dal Signore il termine “lebbra” non identifica solo la malattia come noi oggi la intendiamo, ma fa riferimento a varie affezioni della pelle, o contaminazioni dei vestiti e delle case. In ogni caso, essa è un segno di impurità, quasi di peccato; è una "piaga" o "flagello", pena del peccato (Nm 12,11) con cui Dio colpisce l’uomo (cfr. 2Re 15,1-6: Il popolo ancora sacrificava e offriva incenso sulle alture. Il Signore colpì con la lebbra il re, che rimase lebbroso fino al giorno della sua morte in una casa appartata).

2) Sarà condotto dal sacerdote: la Legge prescrive che il lebbroso venga più volte sottoposto al giudizio del sacerdote, che ha il compito di esaminarne le condizioni, di stabilirne l’eventuale stato di impurità e poi di seguire l'evoluzione della malattia (cfr. Lv 13,3-17, non compreso nel testo liturgico).

3) Il lebbroso colpito dalla lebbra porterà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba: la lebbra porta con sé segni di una condizione disonorante. Cfr. Es 33,4: Il popolo udì questa triste notizia (che Dio non sarebbe venuto in mezzo a lui) e tutti fecero lutto: nessuno più indossò i suoi ornamenti.

4) Andrà gridando: Immondo!: è un grido di confessione pubblica della propria malattia emarginante, quasi come di una colpa.

5) È immondo: se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento: l'impuro deve stare fuori perché in mezzo all’accampamento abita il Signore (cfr. Nm 5,1-4: Il Signore disse a Mosè «ordina agli Israeliti che allontanino dall’accampamento ogni lebbroso,… li allontanerete dall’accampamento perché non contaminino il loro accampamento in mezzo al quale io abito»). La lebbra rappresenta un’impurità talmente grave, da tenere chi ne è colpito non solo lontano dagli uomini, ma anche da Dio. Quest'isolamento è motivato anche dalla vergogna per una malattia disonorante (cfr. Nm 12,10-15: Aronne guardò Maria ed ecco era lebbrosa… Mosè gridò al Signore: «Guariscila, Dio!». Il Signore rispose a Mosè: «Se suo padre le avesse sputato in viso, non ne porterebbe essa vergogna per sette giorni? Stia dunque isolata fuori dell’accampamento sette giorni; poi vi sarà di nuovo ammessa»).

 

 

1 Corinzi 10,31-11,1

10 31 Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. 32 Non date motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; 33 così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare l’utile mio ma quello di molti, perché giungano alla salvezza.

11 1 Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo.

 

1) Questo brano conclude un lungo discorso di Paolo sulla questione della liceità di mangiare le carni immolate agli idoli: Quanto dunque al mangiare le carni immolate agli idoli, noi sappiamo che non esiste alcun idolo al mondo e che non c’è che un Dio solo (1Cor 8,4) e Tutto ciò che è in vendita sul mercato, mangiatelo pure senza indagare per motivo di coscienza, perché del Signore è la terra e tutto ciò che essa contiene (1Cor 10,25-26).

2) Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio: la gloria di Dio è la Sua incarnazione nel Figlio, per abitare con gli uomini (cfr. Gv 1,14: E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità). Per questo l'uomo stesso è gloria di Dio (cfr. 1Cor 11,7: L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio e 2Cor 3,18: E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore).

3) Fate tutto per la gloria di Dio. Non date motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio: se la gloria di Dio è venuta ad abitare in mezzo agli uomini, si deve evitare ogni scandalo, cioè ogni motivo di inciampo al prossimo, attraverso l'esercizio della carità, il primo e più grande dei comandamenti (cfr. Mt 22,37-39), più importante della stessa libertà dei figli (cfr. 1Cor 8,9ss.: Badate però che questa vostra libertà non divenga occasione di caduta per i deboli… Ed ecco, per la tua scienza, va in rovina il debole, un fratello per il quale Cristo è morto!… Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello).

4) Mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare l’utile mio, ma quello di molti, perché giungano alla salvezza (lett. siano salvati): il compito dell’apostolo e del cristiano è di cercare la salvezza di ogni uomo, non la propria gloria o vantaggio. Nessuno cerchi l’utile proprio, ma quello altrui (1Cor 10,23-24); A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune (1Cor 12,7); Pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero… Mi sono fatto tutto a tutti, per salvarne ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe con loro (1Cor 9,19-23).

5) Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo: Paolo invita i Corinzi a seguirlo nell’imitazione del Signore Gesù, che non cercò di piacere a se stesso, ma - come sta scritto - gli oltraggi di coloro che ti oltraggiano sono caduti su di me (Rm 15,3).

 

 

SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

 

“Fate tutto per la gloria di Dio”. è questa la dirompente proposta che oggi emerge dalle Scritture domenicali come sintesi sapienziale del cristianesimo. E proprio a partire dalla possibilità infinita dell'azione, dell'agire: tutto fate! È un po' il contrario dei molti “non c'è niente da fare” o “non c'è più niente da fare”: si può sempre fare! Ogni situazione, anche la più chiusa, è principio di un'azione possibile. E qui la seconda affermazione: per la gloria di Dio! Cioè, non solo è possibile sempre l'azione, ma ogni azione può collocarsi al livello supremo: in quella “gloria di Dio” che, direbbe Ireneo di Lione, è “l'uomo vivente”, e quindi la creatura umana nelle sue supreme potenzialità. L'azione umana infatti glorifica Dio perché mostra, illumina, la persona di Dio, in qualche modo la rende presente, in quello che anche la più piccola persona è in grado di esprimere.

L'infermità drammatica della lebbra e addirittura il suo significato di impurità religiosa, questo stesso grido “immondo, immondo”, che sembra doversi estendere da una particolare malattia a tutta la ferita dell'esistenza, non è altro che “il punto di partenza” della dinamica nuova che è stata offerta all'esperienza umana. Il compito della Legge è quindi un compito essenziale di “identificazione” della prigionia dell'uomo, proprio perché “da lì” possa iniziare l'azione nuova di liberazione e di pacificazione.

Per secoli la Legge donata ai padri ebrei ha custodito l'infanzia dell'umanità in vista del suo riscatto figliale. Non più serva e non più asservita, l'umanità ora è capace di fare, cioè di celebrare nel tempo, l'azione stessa di Dio. Non basta il pacifismo, che è dire di no all'azione di Caino e alle sue reinsorgenti giustificazioni. Ora l'azione di cui siamo capaci è quella dei facitori di pace.

Gesù di Nazaret è il primo di noi, e il Primogenito dai morti. “non i morti lodano il Tuo Nome....ma noi, i viventi benediciamo il Signore”. Pregare per i nostri nemici. Amare i nostri nemici. Rispondere al male con il bene. Condividere il cibo e la bevanda. Chiedere, e chiedere in prestito, e non rubare, i tre pani di cui abbiamo bisogno per un amico... tutto ciò è piccolo esempio di come ogni “lebbra” possa essere vinta, ogni diversità possa risolversi in fratellanza, e anche il grido dell'immondo possa trasformarsi in proclamazione evangelica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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