DOMENICA VI DI PASQUA
(ANNO B)
Giovanni 15,9-17
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «9 Come il Padre
ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10 Se
osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato
i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11 Questo vi ho
detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. 13 Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.
14 Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. 15 Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi.
16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17 Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri».
1) Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi: l'affermazione ricorda quella del c 20, v 21 Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi.
2) Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore: anche in questa domenica è presente il tema del “rimanere”, rimanere nell’amore del Signore. Per rimanere in Lui, che è “il mandato”, bisogna osservare i “comandamenti”. Tutto questo non è per la perfezione o il successo personale dei discepoli, ma per la loro gioia: questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
3) Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati: il comando che consente di rimanere nel suo amore è amarsi gli uni gli altri. Ciò che Lui intende per amore è dare la propria vita per gli altri, e allo stesso modo fare di tutto ciò che si è in grado di generare, creare, dire, sperare.
4) Non vi chiamo più servi,… ma vi ho chiamato amici: l’amore del Signore per i suoi determina il loro passaggio dalla condizione di servi a quella di amici, caratterizzata dalla conoscenza dei segreti che Egli trasmette a loro dal Padre.
5) Tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto
conoscere a voi: d'ora in poi non si può più dire di essere incerti perché
mancano gli elementi sulla base dei quali decidere; ai discepoli di Gesù,
infatti, è stato detto tutto. Si tratta solo di decidere di rimanere nel suo
amore e nella sua conoscenza o di tirarsene fuori.
6) Non voi avete scelto me, ma io ho scelto
voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto: l'obiezione di non
sentirsi degni non ha alcun rilievo, perché è Lui, che, pur vedendo
l'inadeguatezza dei suoi, li ha voluti costituire perché non stessero fermi, ma
andassero e portassero frutto. Chi ritiene di essere sterile non crede alla
potenza di Dio che opera in lui (cfr. il vangelo dell'Annunciazione: Nulla è impossibile a Dio!).
Atti
10,25-27.34.35.44-48
Avvenne che, 25 mentre Pietro stava per entrare [nella casa di Cornelio], questi andandogli incontro si gettò ai suoi piedi per adorarlo.
26 Ma Pietro lo rialzò, dicendo: «Alzati: anch’io sono un uomo!».
27 Poi, continuando a conversare con lui, entrò e trovate riunite molte persone disse loro: «34 In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, 35 ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto».
44 Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso. 45 E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo; 46 li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio. 47 Allora Pietro disse: «Forse che si può proibire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?».
48 E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Dopo tutto questo lo pregarono di fermarsi alcuni giorni.
1) Il brano liturgico è inserito nel lungo capitolo 10, che racconta la conversione di un pagano, Cornelio, su iniziativa e opera di Dio; Pietro gli è inviato, dopo una visione rimasta a lui stesso incomprensibile (v 17).
2) Incontrato Pietro, Cornelio si gettò ai suoi piedi per adorarlo (v 25), riconoscendo in lui l’inviato di Dio, ma Pietro rifiuta questo atto, perché sa che solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai (Lc 4,8) e che anche noi siamo esseri umani, mortali come voi (At 14,15).
3) Pietro prese la parola (lett. aprendo la bocca): è un’espressione che conferisce importanza a quanto sta per essere detto, cioè che la Scrittura e Gesù Cristo si interpretano e si illuminano a vicenda. Adesso Pietro comprende il senso profondo delle parole antiche: Dio non usa parzialità (Dt 10,17) e non guarda ciò che guarda l’uomo. L’uomo guarda all’apparenza, il Signore guarda il cuore (1Sam 16,7). Pietro riconosce nel pagano Cornelio che chi teme Dio e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto (v 35).
4) Pietro stava ancora dicendo queste cose: il riferimento è ai vv 38-43 (non compresi nel testo liturgico), dove Pietro ha fatto l’annuncio di Gesù nel suo mistero di incarnazione, passione e glorificazione.
5) Lo Spirito scese (lett. cadde) su tutti coloro che ascoltavano il discorso (logos): è messo in evidenza il rapporto tra l’ascolto e il dono dello Spirito. È una nuova Pentecoste, che porta a pienezza le parole del profeta: effonderò il mio spirito sopra ogni uomo (Gl 3,1) e che si manifesta nel dono delle lingue, come in At 2,4: essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Lo Spirito è il dono del Cristo risorto e asceso al cielo, per tutti i popoli, perché anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché abbiano la vita (At 11,18).
1^
Giovanni 4,7-10
7 Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. 8 Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.
9 In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui.
10 In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.
1) Amiamoci gli uni gli altri, poiché l’amore
è da Dio: il termine usato per tradurre “amore” (anche nei versetti
successivi) è agàpe nell'originale
greco e caritas nella versione
latina, che è l’amore inteso come spendersi l’uno per l’altro. In Gv 13, 34 (vi do un comandamento nuovo, che vi amiate
gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli
altri) ricorre il verbo corrispondente ad agàpe.
2) Chi non ama non ha conosciuto Dio: domenica scorsa abbiamo incontrato il pastore buono che conosce ad una ad una le sue pecore ed esse a loro volta lo riconoscono, perché egli dà la vita per loro; la conoscenza, ci insegna la Scrittura, non è un fatto intellettuale, ma un legame d’amore che unisce le creature così come unisce il Padre al Figlio.
3) Dio ha inviato nel mondo il suo Figlio unigenito, affinché noi avessimo la vita per mezzo di Lui: la salvezza riguarda il mondo, cioè tutti i popoli e tutto il creato, e consiste nel vivere in Dio e con Dio fin da ora (cfr. Gv 3,16: Dio infatti ha tanto amato il mondo che ha dato il Figlio suo unigenito affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia la vita eterna).
4) In questo sta l'amore: non siamo stati noi
ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi: al v. 19 preciserà Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo,
per ricordarci che Dio ci previene e ci dona il Figlio che si carica dei nostri
peccati (cfr. 1Gv 2,1-2: figli miei, vi
scrivo queste cose affinché voi non pecchiate. Ma se qualcuno pecca, abbiamo un
intercessore presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. Egli è la propiziazione
per i nostri peccati; non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutto il
mondo).
SPIGOLATURE
ANTROPOLOGICHE
Vi consiglio di considerare con molta attenzione l'esperienza di Pietro, quasi costretto dalla forza e dall'evidenza dei fatti a considerare la misura universale della sapienza cristiana. Questo ci aiuta a cogliere la concretezza delle affermazioni del vangelo e della lettera di Giovanni. Una universalità quasi pericolosa, eppure da amare e custodire con gelosia, e criterio assoluto di verifica di ogni altra credenza o ideologia o cultura.
Oso affermare quindi la convergenza tra universalità e verità. Molte volte mi viene chiesto come conciliare il rigore dell'ortodossia con le tensioni verso la pace universale, là dove sembra di dover essere disposti a sacrificare anche il legame più profondo in nome di una verità che non sopporta come tale di essere mistificata per banali irenismi. Ebbene, sono ormai convinto che proprio una adesione radicale alla “porta stretta” di Gesù consente la massima apertura e la massima capacità di comprensione di ogni pensiero e di ogni progetto dell'uomo. Come Pietro dunque si rende conto che non esiste preclusione per nessuna creatura umana in ordine all'orizzonte di interpretazione e di azione che gli è stato donato e affidato, così noi possiamo sperimentare che l'orizzonte di quello che viene chiamato l' “amore” – “l'amore è da Dio” - è in senso assoluto il linguaggio universale e la verità assoluta offerta all'intera umanità, al di là di ogni fede e cultura. E questo “misura” anche la verità di ogni fede e cultura, perché ogni limite posto all'esigente universalità ed egemonia dell'amore segna anche il limite e la caducità di ogni umana costruzione.
Anche il “fiato corto” di certi fenomeni storici recenti, il comunismo, il fascismo, il nazismo, ognuno tanto più caduco e fragile quanto più scostato dal dettame dell'amore universale, dice quanto, malgrado tante crudeltà e inutili violenze, sia severo il vaglio che la legge dell'amore opera nei fenomeni umani. Così anche le religioni: ogni credenza che non veda il primato assoluto dell'amore con le sue note di universalità, di reciprocità... proprio in questo manifesta la sua mondana debolezza. Lo stesso cristianesimo, quando viene in qualche modo deviato e profanato da noi cristiani mostra gli inevitabili segni della fragilità di ogni umana costruzione.
Diversamente, chi magari lontano per tanti motivi da una conoscenza diretta e da una pratica consapevole dell'interpretazione ebraico-cristiana della vita, libera da sé e comunica in qualche modo il mistero dell'amore, raggiunge con immediatezza non un qualsiasi dato della nostra tradizione sapienziale, ma il culmine dell'esperienza umana. Qui sta la divina grandezza della nostra vita, e cioè che, come dice il profeta Baruc, “quello che piace a Dio ci è stato rivelato”, e quindi, dice, “Beati noi!”.