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16 Marzo 2003

II DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO B)

 

Marco 9,2-10

2 In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro 3 e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4 E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù.

5 Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!». 6 Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento.

7 Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e uscì una voce dalla nube: «Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!». 8 E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro.

9 Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti.

10 Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti.

 

1) Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto: Gesù conduce sul monte gli stessi tre discepoli che prenderà con sé al Getsemani (Mc 14,33), segno del legame tra Trasfigurazione e Pasqua.

2) in un luogo appartato, loro soli: l’isolamento è caratteristico dei luoghi che Gesù sceglie per incontrare il Padre (cfr. Mt 14,23: Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare e Lc 5,16: Si ritirava in luoghi solitari a pregare); anche il Getsemani è un luogo dove Gesù si ritrovava con i suoi discepoli in solitudine per la preghiera al Padre (il luogo del Pater noster è sul monte degli ulivi).

3) Si trasfigurò davanti a loro: la preghiera di Gesù ha il potere di trasfigurare la sua persona e la sua storia.

4) E le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: il bianco è il colore della divinità; per questo si dice che "nessun lavandaio sulla terra" potrebbe mai ottenere un bianco simile. Avrà questo stesso colore la veste dell’angelo che appare alle donne al sepolcro, dopo la resurrezione di Gesù (Mc 16,5); la Trasfigurazione è dunque profezia della Resurrezione.

5) Apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù: Elia e Mosè sono stati profeti, che hanno guidato il popolo; ora è Gesù la nuova guida e la strada da seguire.

6) Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi stare qui”…; non sapeva infatti che cosa dire: Pietro mostra la fragilità dell’uomo e la sua confusione di fronte al manifestarsi di Dio; vorrebbe prolungare questo tempo di gloria e bellezza, non comprendendo il suo senso di preparazione alla Pasqua, alla gloria definitiva della Resurrezione.

7) Poi si formò una nube, che li avvolse nell’ombra e uscì una voce dalla nube: la nube rappresenta la gloria di Dio (cfr. Es 24,16 La gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì… Il Signore chiamò Mosè dalla nube).

8) E subito, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro: la nube e la voce scompaiono, portandosi dietro Elia e Mosè. Il Padre conferma così che è Gesù adesso l’unica voce da ascoltare.

 

Genesi 22,1-2.9.10-13.15-18

1 In quei giorni Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». 2 Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, và nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». 3 Abramo si mise in viaggio.

9 Essi arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna. 10 Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. 11 Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». 12 L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio». 13 Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio.

15 Poi l’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta 16 e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio, 17 io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. 18 Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».

 

1) Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo: nel capitolo precedente è descritta la nascita di Isacco, il figlio che Sara partorisce ad Abramo nella vecchiaia, attraverso il quale si adempiono le promesse di Dio (Gn 21,12). Ora, Dio “mette alla prova” Abramo (è lo stesso verbo che nel vangelo di domenica scorsa era attribuito a Satana, che “tentava” Gesù), chiedendogli proprio quell’unico figlio che gli aveva donato. La prova che Dio chiede ad Abramo non sarà per la morte, ma per saggiare e purificare la sua fede (cfr. Gc 2,22-23) e per rivelare il mistero della sua paternità, dell'amore che lo porterà a offrire il Figlio amato per la salvezza dell'uomo.

2) Offrilo in olocausto: il termine “olocausto” indica un sacrificio che deve essere interamente consumato dal fuoco.

3) Nei vv. 3-8, non compresi nel testo liturgico, si mettono in evidenza la mite accondiscendenza di Abramo alla volontà di Dio e la comunione d'intenti tra il padre e il figlio, profezia dell'obbedienza di Cristo al Padre nei racconti della Passione. Ci sono anche richiami alla resurrezione, come il cenno al terzo giorno (v 4).

4) Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio: Abramo adempie fino in fondo la richiesta che Dio gli aveva fatto, offrendogli il suo figlio unico. La lettera agli Ebrei (11,17-19) commenta il gesto di Abramo come un atto di fede nella resurrezione: Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio;… egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere dai morti; per questo lo riebbe e fu come un simbolo.

5) Abramo chiamò quel luogo “il Signore provvede” (lett. Dio vedrà); perciò oggi si dice: “sul monte il Signore provvede (lett. Dio sarà visto): in questo v 14, non compreso nel testo liturgico, si preannuncia il vangelo della Trasfigurazione, che rivela la gloria di Dio nell’offerta del Figlio.

 

Romani 8,31-34

Fratelli, 31 che diremo? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? 32 Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? 33 Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica.

34 Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?

 

1) Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?: l’apostolo vuole rassicurarci che Dio "tiene per" noi e agisce a nostro vantaggio. Lui è scudo e baluardo (Sal 18,3), difesa del suo servo sofferente (cfr. Is 50,7: il Signore Dio mi assiste; per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso).

2) Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi (lett. lo ha consegnato; il lat. usa il verbo della traditio): i termini richiamano la consegna e il tradimento di Gesù nei racconti della Passione, mentre il "non risparmiare il figlio" è la stessa espressione del testo di Abramo e Isacco (Gn 22,12: non mi hai rifiutato tuo figlio).

3) Come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?: se Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo figlio unigenito (Gv 3,16), come potrà non "farci grazia" (xarizein) di ogni altra cosa insieme con Lui? La vita dei discepoli è presentata come frutto della grazia di Dio e non degli sforzi dell'uomo: Osservate come crescono i gigli del campo… neppure Salomone vestiva come uno di loro (Mt 6,27-28).

4) Chi accuserà gli eletti di Dio… chi condannerà?: sono termini giuridici, gli stessi che Paolo userà pronunciando la sua difesa davanti al re Agrippa (cfr. At 26,2-7). Il riferimento è al giudizio finale: è possibile per gli uomini scampare al giudizio, perché un altro è stato giudicato al loro posto: Ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di Lui (Rom 5,9). Egli è diventato garante di un’alleanza migliore… perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore (Eb 7,22-25).

 

SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

 

… La collocazione nella Quaresima di questi testi della Scrittura suggerisce una riflessione molto audace sul livello di positività che la sapienza ebraico-cristiana consegna all'esistenza dell'uomo. Innanzi tutto con l'indiscutibile e radicale rovesciamento che il testo di Genesi afferma del rapporto tra l'uomo e Dio. E non solo; perchè le “religioni” sono sempre l'assolutizzazione di come si concepiscono le relazioni umane: cioè, un dio fatto in un certo modo sostiene e giustifica una visione dell'uomo che da quella concezione religiosa deriva. E qui viene liquidato il dio della religiosità mondana che esige i sacrifici umani, e peraltro lascia solo l'uomo di fronte allo smacco della morte.

Il Dio di Abramo e di Cristo è quello che ferma la mano del sacrificatore e adempie in Sé quello che il patriarca ha profetizzato con la sua obbedienza di fede. Perciò, non l'uomo, ma Dio compirà il sacrificio offrendo suo Figlio per la salvezza dell’umanità: "Non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi" dice S. Paolo nel brano ai Romani. Ma questo è il giudizio nei confronti di ogni “struttura”, dove i padri esigono dai figli e non “pongono la vita”, non servono, non offrono: è quello che il Cristo mostra sul monte della trasfigurazione, quando il Padre dal cielo afferma che la vita "offerta", da Abele a Gesù alle “vittime” di oggi, è il cuore del mistero di questo Dio radicalmente diverso da tutti gli altri. La storia intraprende la sua via di salvezza non quando è affidata alla violenza dei grandi, ma quando è illuminata e svelata dal sacrificio dei piccoli.

E piccoli sono - o possono essere - tutti, perché il mistero e la potenza della piccolezza non sono definiti da misure di quantità, ma dalla qualità delle azioni: ognuno, infatti, qualunque sia la sua condizione-posizione, può e deve, nella prospettiva del Figlio di Dio, “farsi piccolo” verso l'offerta di Sé. E questa è la nuova, sorprendente, positività di ogni azione, anche di quella apparentemente più piccola. Il meraviglioso “commento” che Paolo fa di tutto questo conferma la misura illimitata della speranza, in una storia che non deve più temere nulla perché è stata “inaugurata” da questo “Dio offerto”, che nella sua offerta, nella nobiltà divina della sua offerta, nella fecondità inestimabile della sua offerta, trascina l'umile esistenza di ognuno di noi, che, per questo incommensurabile dono, siamo ormai “capaci” di celebrare in noi stessi la mirabile opera di Dio: un Amore sino alla fine.