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30 Marzo 2003

IV DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO B)

 

Giovanni 3,14-21

In quel tempo Gesù disse a Nicodemo: «14 come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».

16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. 17 Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

19 E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. 20 Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. 21 Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

 

1) L’innalzamento del Figlio dell’uomo è accostato da Gesù all’innalzamento del serpente nel deserto secondo la parola di Mosè: Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà, resterà in vita (Nm 21,8). Nel Vangelo di Giovanni “essere innalzato” ha un duplice significato: l’innalzamento alla destra di Dio (At 5,31: Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo capo e salvatore) e l’innalzamento sulla croce (Gv 12,32-33: Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me. Questo diceva per indicare di quale morte doveva morire).

2) perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna: è evidenziata la dimensione universale (chiunque) del dono della vita eterna. Condizione unica ed essenziale per avere tale vita, che è comunione con Dio, è la fede in Gesù, cioè l'accoglienza del dono che è il Figlio, è credere nel nome dell’unigenito Figlio di Dio (v 18). La fede nel Figlio pone in una relazione così intima con lui, che si diventa partecipi della sua stessa vita.

3) Dio ha tanto amato il mondo, da dare…: è messa in evidenza la grandezza e la qualità dell'amore di Dio, in particolare la sua gratuità: Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi (Rm 5,8). L’invio del Figlio è la dimostrazione dell’amore di Dio per il mondo, il dare in dono il Figlio, che comprende ogni altro regalo: Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? (Rm 8,32). Nota S. Giovanni Crisostomo: “Diede il Figlio, l’Unigenito, non un servo, un angelo, un arcangelo. Nessun padre ha mai avuto tanto amore per il proprio figlio, quanto Dio ne ha avuto per questi servi ingrati”.

4) Nei vv 17-21 è espressa l’idea che in questo invio del Figlio, che comprende la sua Incarnazione e la sua Pasqua, si compie il giudizio (krisis) del mondo. Giudizio che non è in un lontano avvenire, ma si realizza nel presente. La massima espressione dell’amore di Dio, che è l’invio del Figlio, non ha come scopo la condanna eterna del mondo, ma la sua salvezza: non sono venuto per condannare (lett. giudicare) il mondo, ma per salvare il mondo. Ciò che porta alla salvezza è la fede nel Figlio innalzato sulla croce, mentre il rifiuto esplicito e consapevole di credere in lui esclude dalla salvezza. Rifiutandosi di credere, l’uomo si chiude all’amore di Dio, che si rivela nella venuta di Gesù e nella sua Pasqua.

5) Hanno preferito (lett. amato di più) le tenebre alla luce: con il Figlio è venuta nel mondo la luce, ma alcuni si sono chiusi alla sua azione, preferendo rimanere nelle tenebre. C’è un richiamo a Gn 3 (il nascondersi di Adamo ed Eva dopo il peccato) e a Gv 1,5 (la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta). Il v 20 spiega la ragione del rifiuto della luce: perché non siano svelate le sue opere, che sono malvagie (v 19). Commenta S. Agostino: “Chi continua ad amare i suoi peccati, odia la luce che lo ammonisce e fugge da casa, affinché non siano palesate quelle sue opere cattive che egli ama. Chi opera la verità accusa a se stesso i suoi peccati, non si risparmia, non si perdona, affinché sia Dio a perdonarlo”.

 

 

2Cronache 36,14-23.19-23

14 In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato in Gerusalemme.

15 Il Signore Dio dei loro padri mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché amava il suo popolo e la sua dimora. 16 Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. 19 Quindi i suoi nemici incendiarono il tempio, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutte le sue case più eleganti.

20 Il re deportò in Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all’avvento del regno persiano, 21 attuandosi così la parola del Signore, predetta per bocca di Geremia: «Finché il paese non abbia scontato i suoi sabati, esso riposerà per tutto il tempo nella desolazione fino al compiersi di settanta anni».

22 Nell’anno primo di Ciro, re di Persia, a compimento della parola del Signore predetta per bocca di Geremia, il Signore suscitò lo spirito di Ciro re di Persia, che fece proclamare per tutto il regno, a voce e per iscritto: 23 «Dice Ciro re di Persia: Il Signore, Dio dei cieli, mi ha consegnato tutti i regni della terra. Egli mi ha comandato di costruirgli un tempio in Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il suo Dio sia con lui e parta!».

 

1) Anche tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà: l’infedeltà riguarda tutti e consiste nell'infedeltà al vincolo speciale che Dio ha stretto con Israele, eleggendolo come suo popolo particolare e quindi distinguendolo da tutte le altre nazioni (cfr. Dt 18,9: quando sarai entrato nel paese che il Signore tuo Dio sta per darti, non imparerai a commettere gli abomini delle nazioni che vi abitano).

2) E contaminarono il tempio: anche il tempio, luogo dell’incontro tra Dio e il suo popolo, è ora contaminato; è venuto meno l'amore per la casa del Signore, testimoniato spesso dalla preghiera d'Israele (cfr. Sal 26,8: Signore, amo la casa dove dimoro e il luogo dove abita la tua gloria; ricorda anche lo zelo per la tua casa mi divora di domenica scorsa).

3) Il Signore Dio dei loro padri mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli... schernirono i suoi profeti: l’indurimento del cuore impedisce di cogliere i messaggi del Signore, espressi soprattutto attraverso i profeti, che in suo nome ogni mattina denunciano i peccati e le ingiustizie degli uomini. Abbiamo incontrato più volte questo tema nel libro di Geremia (cfr. Ger 7,26: eppure essi non li ascoltarono e non prestarono orecchio, resero dura la loro cervice, divennero peggiori dei loro padri).

4) Quindi incendiarono il tempio... il re deportò in Babilonia gli scampati alla spada: è il momento più doloroso della storia dell'Israele antico, con l'abbattimento delle mura di Gerusalemme, la distruzione del tempio, l'uccisione di tanti e la deportazione dei superstiti, anch'esso tante volte descritto dal profeta Geremia. Di fronte alla sventura e alla considerazione delle proprie colpe, il popolo non può che appellarsi alla misericordia di Dio (cfr. le Lamentazioni, la supplica di Bar 1-3, e Is 64,8: Signore, non adirarti senza fine, non ricordarti per sempre dell’iniquità. Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo), come una volta fece nel deserto, rivolgendosi al serpente innalzato da Mosè (cfr. il vangelo di questa domenica).

5) Il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia: la misericordia di Dio interviene, illuminando Ciro, che, da re nemico, diventa colui che attua la liberazione del popolo e lo fa tornare a Gerusalemme, per ricostruire il tempio. Isaia lo definisce pastore (cfr. Is 44,28 Io dico a Ciro. Mio pastore), figura normalmente attribuita a Dio stesso e al Messia, suo inviato.

 

 

Efesini 2,4-10

4 Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, 5 da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati. 6 Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù, 7 per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù.

8 Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; 9 né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene.

10 Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo.

 

1) Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatto rivivere con Cristo: Dio è ricco di "misericordia", cioè di un "cuore povero"; è così "misero", che davanti al peccato dell’uomo riesce solo a perdonare.

2) Per grazia siete stati salvati: la salvezza è un dono gratuito di Dio (cfr. Rm 3,23: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù).

3) Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù: notare che si tratta di tutti verbi al passato, che indicano la risurrezione e ascensione come opere già compiute da Dio, non solo nell'evento pasquale di Cristo, ma anche nei suoi discepoli.

4) Per questa grazia, infatti, siete salvi mediante la fede e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio, né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene: la salvezza dipende dalla fede, la quale pure, a sua volta, è dono di Dio. Cfr. anche Fil 1,6: colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù.

5) Siamo, infatti, opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo: dunque le opere buone non sono nostre, ma di Dio, che le ha predisposte, perché noi camminassimo in esse.

Conclusivamente, la misericordia e la grazia di Dio, al centro del brano dell'epistola, si presentano come i temi comuni con le altre due letture (esilio e ritorno in 2Cr e giudizio e salvezza in Gv 3).

 

 

SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

 

Le Scritture di questa domenica si possono considerare un grande “statuto” della pace. E quello che mi sembra importante è che questo non è dovuto a esigenze morali espresse direttamente dai testi (non c'è alcun accenno a comandamenti di riconciliazione o di non violenza!), ma alla descrizione molto serrata ed efficace della storia della salvezza del mondo, espressa sia con la concreta vicenda storica di Israele come è riferito nella prima lettura, sia con la grande meditazione che Efesini e Giovanni fanno intorno all'evento salvifico, più globalmente considerato come è nel brano evangelico, o più direttamente riferito all'esperienza esistenziale dei credenti come è nel testo di Efesini.

Al centro sta l'enfasi posta sulla categoria della “relazione”, e in particolare sulla relazione tra gli opposti, i lontani, i nemici. Quale concezione viene invece negata nei nostri testi? Quella che enfatizza l'individuo, la sua ricerca di perfezione, il suo rapporto “difficile” con “l'altro da Sé”. La radicale “non paura” di Dio a porsi in relazione con l'umanità ferita è il segreto della pace. Diversamente dall'istinto presente in tutti noi, legato alla nostra natura ferita, Dio non teme, ma anzi vuole porsi in relazione con l'umanità: anche se è un'umanità di “morti” come afferma l'Apostolo; anche se si tratta di un “mondo” che la santità di Dio non potrebbe che condannare. Questo povero mondo peccatore Dio lo ama. E lo ama fino alla passione e alla morte del Figlio. Il suo “giudizio” sul mondo è in vista della salvezza del mondo stesso. Al punto che all'uomo Egli non chiede altro che …la Fede!!

E siccome saremmo subito spinti a vedere proprio in questo la difficoltà insormontabile, è bene chiarire che la fede, nei suoi termini essenziali e profondi altro non è che l'accettazione di questo rapporto che Dio vuole stringere con noi. La relazione precede la sua accettazione: ognuno di noi “si trova davanti” l'atto indiscutibile dell'Amore di Dio nella Croce del Cristo. Una croce che viene descritta da Gesù stesso come questo “farsi serpente” (perdonate l'orrore dell'espressione) cioè questo suo assumere la nostra condizione ferita, condivisa da tutta l'umanità, vero tratto comune di tutti gli uomini e di tutte le donne della terra, per trarre tutti a Sé. Dio non ci fa' guerra, ma dona a noi la sua vita. Per questo la “condanna” non è vista tanto come una “sanzione finale”, ma come l'infernale condizione nella quale rimaniamo rifiutando la relazione d'amore che Egli ci offre. Tale relazione è così forte che, secondo il testo di Efesini, noi condividiamo con il Cristo la condizione finale e gloriosa nella quale Egli ci aspetta, ma che anticipatamente ci fa' vivere per la potenza di questa relazione che stabilisce con noi e che ci fa vivere “in Lui”, fin d'ora, le primizie della gloria finale.