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18 Maggio 2003

DOMENICA V DI PASQUA (ANNO B)

 

Giovanni 15,1-8

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «1 “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. 2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3 Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato.

4 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. 5 Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6 Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. 8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

 

Questo c. 15 è parte del lungo discorso fatto da Gesù nella notte della sua Passione; ci riporta al Triduo Santo, che abbiamo celebrato quattro settimane fa, ci fa sentire ancora nel tempo di Pasqua, che stiamo vivendo in attesa della Pentecoste.

1) Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo: Gesù a vite aggiunge vera. Cfr. Ger 2,20-21: Da tempo hai infranto il tuo giogo, hai spezzato i tuoi legami e hai detto: Non ti servirò! (...) Io ti avevo piantata come vigna scelta, tutta di vitigni genuini; ora, come mai ti sei mutata in tralci degeneri di uva bastarda? Gesù è colui che fa la volontà del Padre, obbedendo fino alla morte, per questo è lui la vite vera.

2) Ogni tralcio che porta frutto, lo pota (lett. purifica), perché porti più frutto. Voi siete già mondi (lett. purificati) per la parola che vi ho annunciato. Lo strumento di lavoro di questo potatore è la parola ascoltata con fede (cfr. At 15,9 Non ha fatto nessuna discriminazione tra noi e loro, purificandone i cuori con la fede). Gesù ripete ai discepoli voi siete già mondi, come aveva detto poco prima (cfr.13,10). Stare con Lui rende puri; ma può anche essere doloroso, perché significa riconoscere la propria incapacità, i limiti della propria carne: é lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho detto sono spirito e vita.(...) Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui (Gv.6,63ss.).

3) Rimanete in me: in poche righe il verbo rimanere, dimorare, abitare, è ripetuto sei volte. Come avrebbero fatto i dodici a rimanere con una persona che il giorno dopo sarebbe morta? Come facciamo noi ora a rimanere con una persona mai vista o toccata? La possibilità di tutto questo sta nella sua Parola: Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi…(7).

4) Chi rimane in me ed io in lui fa molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla. Non è tanto importante “essere in sé”, quanto rimanere in una relazione di comunione con il Signore.

5) Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, Gesù indica un modo per rimanere in lui: le sue parole. Da sempre il popolo d’Israele sa che custodendo, meditando, studiando, ricordando la Parola, resta unito al Signore(cfr. Sal 1 e 119). Lo stesso procedimento è presente nei Padri della Chiesa e in tutti gli scritti cristiani antichi fino a S. Francesco.

 

 

Atti 9,26-31

In quei giorni, Paolo, 26 venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi con i discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo ancora che fosse un discepolo.

27 Allora Barnaba lo prese con sé, lo presentò agli apostoli e raccontò loro come durante il viaggio aveva visto il Signore che gli aveva parlato, e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. 28 Così egli poté stare con loro e andava e veniva a Gerusalemme, parlando apertamente nel nome del Signore 29 e parlava e discuteva con gli Ebrei di lingua greca; ma questi tentarono di ucciderlo. 30 Venutolo però a sapere i fratelli, lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso

31 La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria; essa cresceva e camminava nel timore del Signore, colma del conforto dello Spirito Santo.

 

1) Venuto a Gerusalemme (Paolo) cercava di unirsi con i discepoli: è interessante l'espressione unirsi (greco: incollarsi; latino: iungere se), che indica la grande coesione che c'era tra i cristiani e il forte desiderio di aderirvi da parte di Paolo. Ma tutti avevano paura di lui, non credendo ancora che egli fosse un discepolo; infatti di Paolo, anche nelle comunità cristiane, era noto solo il passato di persecutore dei discepoli del Signore; come egli stesso confessa: Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi ... ero sconosciuto personalmente alle Chiese della Giudea che sono in Cristo (Gal 1,24).

2) Allora Barnaba lo prese con sé, lo presentò agli apostoli e raccontò loro come durante il viaggio aveva visto il Signore che gli aveva parlato: il Signore si era manifestato a Paolo come una luce, per rischiarare le tenebre di morte in cui egli viveva (cfr. At 9,3-9: all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e cadendo a terra udì una voce), ma è molto bello il gesto paterno di Barnaba, che si fa mediatore e garante dell'ingresso del nuovo arrivato nella comunità.

3) Aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù ... parlando apertamente nel nome del Signore: Paolo è divenuto uno strumento per l’annuncio del Vangelo. Le sue parole e la sua predicazione vengono da Dio, che parla agli uomini per mezzo di lui (cfr. At 9,15: Egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele).

4) Parlava e discuteva con gli Ebrei di lingua greca: sono gli Ebrei ellenisti, che si dimostrano particolarmente ostili alla predicazione cristiana, arrivando a reagire ad essa anche con violenza (v. 29: questi tentarono di ucciderlo).

5) La Chiesa cresceva e camminava nel timore del Signore, colma del conforto dello Spirito Santo: la crescita della Chiesa avviene grazie al sostegno e all’incoraggiamento dello Spirito inviato da Dio Padre, senza il quale essa non potrebbe fruttificare, né gustare la gioia della fede; qui lo Spirito fa la parte che nel vangelo è dello stesso Signore Gesù (cfr. Gv 15,5: Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla).

 

 

1^ Giovanni 3,18-24

18 Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità. 19 Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore 20 qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. 21 Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio; 22 e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quel che è gradito a lui.

23 Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. 24 Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui. E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato.

 

1) Figlioli…: questo appellativo è proprio di Giovanni: è detto da Gesù in Gv 13,33 e ricorre 7 volte nella lettera; esprime l’affetto dell’apostolo per i suoi e insieme ricorda la loro nuova condizione di figli di Dio.

2) non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità (lett.: nell’opera e nella verità): gli uomini e le donne sono chiamati a vivere le loro relazioni nella verità, che vuol dire "veramente", sinceramente, ma anche in quella verità che è il Cristo (Io sono la verità, Gv 14,6) e la Parola di suo Padre (la tua Parola è verità, Gv 17,17). La prima verità è quella di chi riconosce di essere un peccatore: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi (1Gv 1,8). Infine la verità è l’amore di Dio rivelato nella Pasqua di Gesù (cfr. 1Gv 3,16: Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli).

3) Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità: infatti l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio (1Gv 4,7). I gesti di carità rivelano l’amore di Dio, non sono opera dell’uomo, ma il segno della presenza di Dio in lui (cfr. Gv 3,21: chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio).

4) rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri: Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa: cfr. Gv 2,24 (Gesù conosceva tutti e non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su u altro; egli infatti sapeva quello che c’è in ogni uomo).

5) abbiamo fiducia in Dio; e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui: il termine greco per “fiducia” significa anche, “parlare con libertà”. Gesù ha trasmesso questo atteggiamento ai suoi discepoli, parlando apertamente del Padre e insegnando loro a rivolgersi a Lui nella preghiera del Padre Nostro.

6) E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito Santo: secondo la promessa che Gesù ha fatto durante l’ultima cena (egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre (Gv 14,16-17).

 

 

SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

 

Mi sembra di cogliere un tema dominante di grande rilievo nella liturgia di questa domenica: il mistero e il dono della comunione. Essendo per la sapienza ebraico-cristiana l'apice dell'esperienza positiva, la comunione è regola di verità per tutti e per tutto. Questo va sottolineato perché il clima culturale in cui ci troviamo è talmente lontano da indurre, anche nella prassi cristiana, delle pericolose esitazioni sia intellettuali sia morali. Come, ad esempio, il pensare che possa esserci opposizione tra comunione e verità.

Ma la comunione è il criterio supremo della verità, per cui una verità senza la comunione o contro la comunione non è verità per il nostro sentire più profondo. E nelle Scritture di oggi è splendido questo verbo “rimanere” che così efficacemente esprime la guerra di resistenza che ognuno deve combattere quotidianamente contro le forze centrifughe che con potentissimi argomenti di verità, giustizia e buon senso seducono verso la fuga, la separazione, la resa, l'alternativa...

In questa direzione trovo ingenuo anche un certo rischio della comunità cristiana di attestarsi con tranquilla sicurezza negli ambiti della “persona” e dei “diritti umani”; ma non so quanto noi possiamo identificarci con queste categorie che sento spesso affermare con sicurezza come criteri identificativi certi del pensiero cristiano. Si dirà: C'è forse qualcosa di più grande della Persona? Ebbene, sia pur con un certo tremore io dico che la “relazione” è criterio superiore, in quanto non si può cogliere la verità profonda della persona se non a partire dalla o dalle sue relazioni essenziali. Se uno non “rimane”, non è più se stesso.

Anche “Dio” dice poco se non è il Dio di Abramo, e soprattutto il Padre di Gesù Cristo. Tu di chi sei? Anche Paolo sa che la sua stessa appartenenza a Cristo deve compiersi nella sua relazione con i fratelli di fede, relazione essenziale, che lo induce a ogni tentativo di unirsi agli altri.

E la Lettera di Giovanni ci consola dicendoci che al Signore piace rimanere con noi e in noi, proprio come il Vangelo ci insegna che più che combattere contro il male, che è battaglia persa se siamo soli, conviene non staccarsi da Lui che con la sua presenza mette in fuga le ombre e sana le ferite.

Certo, questo “rimanere” talvolta fa sanguinare, al punto che sembra più dignitoso accettare la solitudine piuttosto che restare in un ambito che non pare vero. Ma è un pensiero che facciamo a partire da una certa nostra ipotesi di autosufficienza: il ché contraddice però la nostra reale situazione di povera gente che da sola non può, e che per questo accetta di portare il peso della croce per non trovarsi nella nudità della sua povera persona.