1 Canto delle salite.
Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
2 Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.
3 La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.
4 Ecco com’è benedetto
l’uomo che teme il Signore.
5 Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita!
6 Possa tu vedere i figli dei tuoi figli!
Pace su Israele!
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Due attributi privilegiati vengono dati in questo Salmo all’uomo che “teme il Signore”: ai vers.1 e 4. Ci ricordiamo che il timore del Signore significa la sua presenza nella nostra vita e quindi il nostro vivere sempre davanti a Lui e con Lui! Vivere alla sua presenza è il dono della fede. La fede è vivere non per se stessi, ma per Lui: nel dono vivo e incessante della sua Parola e del suo Spirito. Una vita di comunione con Lui, con i fratelli e le sorelle che ci sono affidati e ai quali siamo stati affidati dal Signore. Con tutti i discepoli di Gesù in tutte le Chiese. Con tutti gli uomini e le donne della terra. Con un privilegio di relazione con i piccoli, i poveri, gli emarginati, i peccatori, i morti. Chi è collocato dal Signore in questo orizzonte di vita è veramente “beato” (ver.1) e “benedetto” (ver.4)! Io non ho il coraggio – e penso anche voi! – di riconoscermi in questa condizione. Ma, sia pure con molto “timore”, mi sembra che, pur con tutte le mie infedeltà e i miei peccati, tale è la vita che il Signore mi ha regalato. E forse qui trovo anche il significato – e anche l’esperienza profonda della mia povera vita – del “timore di Dio”. Di esso posso dire che è una specie di “tremore” per trovarmi in una vita che certamente non corrisponde ed è troppo grande per la mia persona, ed è dunque una vita sempre perduta e ritrovata, sempre per me impossibile e sempre ricevuta in dono. Una vita tremendamente bella.
Il “timore del Signore” si propone ogni giorno come il “camminare nelle sue vie”. E questo cammino nelle vie di Dio non è una “fuga dalla storia”, la storia mia e di tutti, ma il contrario! E’ Lui che vive nella mia vita e con me, come ci suggeriva il Salmo precedente, per cui la mia vita è veramente “mia”, se è la sua Parola e il suo Spirito (cioè la sua reale presenza) in me e con me. Quindi, in concreto, questo “camminare nelle sue vie” lo sperimento come l’incessante necessità e il severo ammonimento alla “conversione”, cioè all’invocare che Egli mi riconduca a Sé. Con quali sentimenti e pensieri? Secondo questo Salmo, in un delizioso orizzonte di doni e di preziose relazioni d’amore. Per me, l’osservare come il bene e il bello che gli altri accolgono e vivono mi dia un posto di speranza e di pace. E quindi anche di gioia (non proprio sempre). Un po’ “ultimo della classe”, ma infine pieno di gratitudine. Scusate il lettino psicoanalitico che mi sono inventato.
La vita di fede è sostanzialmente una vita di “famiglia”. Magari nozze che non si erano programmate proprio così, e figli e figlie che non cessano di stupirmi, di commuovermi. L’altro ieri abbiamo celebrato il congedo da questo mondo di un povero che ci è stato fratello per qualche mese. Poverissimo. Credevo che ci saremmo trovati in pochi nella liturgia della sua partenza. Invece si era in molti! E non so dirvi la bellezza di quell’assemblea. Dunque ecco la “vite feconda nell’intimità della casa”, termine non semplice quell’ “intimità”, che vuole ricordare quell’intimità stupenda e segreta che è la sposa, e “i virgulti di ulivo intorno alla mensa” che sono i figli di cui ci dice il ver.4.
Lo splendore di questa esperienza dell’intimo e del quotidiano non può non essere anche speranza e augurio per l’orizzonte più vasto delle Chiese e del mondo intero. Il ver.5: ci dice del Vangelo annunciato sino ai confini della terra? E forse ci dice anche del nostro essere ogni giorno immersi nei grandi drammi della storia e dunque anche nella “politica” che Dossetti e Milani pensavano e vivevano come il desiderio di trasferire a tutti ogni “luce” che si presenti e rallegri la nostra piccola vita? Gerusalemme è realtà, immagine e simbolo di tutto questo. Di lei, alla fine, ogni uomo e donna della terra dirà d’esservi nato. La profezia ebraica la indica come la meta finale e la grande convocazione di tutte le genti. Così bisogna guardare a Gerusalemme anche oggi. E così dobbiamo guardare i nostri figli che sono il proseguo della nostra piccola storia.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.