Non penso lei si sia accorto di me. Anche se questo uscire dalla chiesa dopo l’omelia è forse abbastanza vistoso. Quello che ho cercato di spiegarle fino a questo punto si riassume forse in una domanda molto semplice, connessa con una considerazione: lei sembra contento della sua vita e della vita in generale, e io no. Non sono contento della mia vita e neanche della vita in generale. Dopo aver messo da parte la fede per quello che mi è

Caro amico senza nome, mi perdoni se della sua lettera pubblico solo poche parole. Le cose che lei mi dice sono troppo complesse e delicate sia per lei sia per le persone coinvolte. Provo quindi a spendere le poche righe della nostra rubrica per tentare almeno l’inizio di una strada nuova. Parto con il dare per buono il suo pensiero circa la mia contentezza. Mi interrogo poco su questo, ma capita che qualcuno me ne chieda conto. Allora mi sembra di dover dire che qualche buona bastonata della vita mi ha forse tolto quella che si può chiamare l’allegrezza. Ma la gioia, no. Quella c’è, e, per pura misericordia di Dio, sembra poter crescere. Ed ecco allora a dirle quale mi sembra ne sia il segreto. Si tratta di un regalo molto grosso, che non posso dire di aver ricevuto, ma che certo ho ammirato in molte e molti, e che Gesù cita come la prima di quelle condizioni "beate" che non subito appaiono tali, ma che tali si rivelano nella prova dei giorni e nel semplice scorrere dell’esistenza:"Beati i poveri in spirito…". Chi sono questi tali? Molto s’è detto e si è scritto. Ricordo quando da giovane leggevo certe considerazioni sulla superiorità della stessa beatitudine, come la ricorda il Vangelo secondo Luca: "Beati, voi, poveri..", senza quello "spirito", che ingenerava il sospetto di una "spiritualizzazione" della faccenda, che consentiva anche ai ricchi di essere beati per un certo "distacco interiore" dal loro concreto e cospicuo patrimonio. Ma il "povero in spirito" penso sia un’altra cosa. Penso alla condizione felice di chi vive nella crescente consapevolezza di nulla essere e di nulla avere, se non quello che riceve da tutti, dal Buon Dio, come dall’ultima persona che ha incontrato. Ho visto che chi è povero in questa maniera entra pian piano in un mistero di felicità. Tutto quello che gli capita, egli lo riceve come un regalo. E così facendo ne scopre il segreto di bellezza e di bontà. In ogni cosa. Come S.Francesco, un vero campione della povertà in spirito, che arriva a lodare il suo Signore "per sorella nostra morte corporale". E potrei citare un "povero in spirito" contemporaneo a noi, che quando si è voltato indietro a riconsiderare l’intera sua vita, ha confessato debiti di riconoscenza verso tutto e tutti, anche verso chi aveva conosciuto come avversario e addirittura insidiatore. Questi "poveri Cristi" sanno in ogni cosa gustare e vedere quanto è buono il Signore. Io non sono certamente tra loro. Ma li ammiro. E questo mi aiuta a cercare di imitarli. Grido a Dio la mia fragilità. E mi sono convinto che tutti mi vogliono bene. Vedo lei sommerso da tanta tristezza. Proviamo a percorrere insieme questo sentiero umile e luminoso. Buona Domenica. d.Giovanni.