14 Entrato nella casa di Pietro, Gesù vide la suocera di lui che era a letto con la febbre. 15 Le toccò la mano e la febbre la lasciò; poi ella si alzò e lo serviva. 16 Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati, 17 perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie.
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La figura di questa suocera di Pietro riporta alla sinagoga, che visitata dal Signore, si alza ed entra a servire la Chiesa.
Il tocco di questa mano della suocera di Pietro per guarirla, è come se fosse la mano di Eva (ricordiamo anche la bella icona della discesa agli inferi, dove Gesù, afferrando la mano di Eva risolleva lei e Adamo dai morti e li risorge con Lui). Quella mano che era stata stesa verso il frutto della tentazione e che causò il peccato ora viene toccata dal Signore che così la riporta alla vita buona, di coloro che accogliendo il “tocco” del Signore, cominciano a vivere una vita di grazia e di gratitudine.
v. 14 “Gesù “vide” la suocera malata: questo sguardo è come quello della chiamata.
v. 15 “La febbre “la lasciò”: quasi come fosse una persona. Come al cap. 4, dopo che Gesù aveva vinto le tentazioni diaboliche con la Sua fede e le Sue parole, il diavolo “lasciò” Gesù.
E lei “si alzò e LO servì”, diversamente dai paralleli, Matteo sottolinea questo servizio reso a Gesù in modo primario e personale: è Gesù il centro e la scelta della vita guarita, e poi – attraverso di Lui – anche tutti gli altri. Ci si alza e si serve: è come il dimenticarsi della propria vita per spenderla tutta per gli altri. E’ quello che anche nella nostra bella famiglia tante volte, e molto in questi ultimi giorni, sperimentiamo e vediamo.
Nel testo di oggi vediamo la ripresa di alcune parole importanti già viste nei vv. precedenti. Gesù “tocca” la mano della donna malata, come aveva “toccato” il lebbroso. Gesù caccia i demoni “con la parola”, come ieri aveva guarito il servo del centurione “dicendo solo una parola”.
La straordinaria citazione di Isa 53 dice poi come queste azioni hanno una duplice direzione: da una parte dona la salute e la purificazione a chi viene toccato, e contemporaneamente è anche quel gesto per cui il Signore “si carica delle nostre sofferenze, si addossa i nostri dolori”. Questa citazione conferma che quando nella Messa ci disponiamo a ricevere l’Eucarestia, veniamo invitati al banchetto dell’Agnello con queste parole: “Ecco Colui che “toglie” il peccato del mondo” dobbiamo comprendere che il modo di questo “togliere” non è un atto magico, ma proprio il fatto che Gesù se ne è caricato: li toglie prendendoli su di sé.
v. 16 “scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati”: non c’è nessuno escluso, né nessuna c’è malattia che è troppo grave e fuori dall’azione potente del Signore. Questa è una parola di speranza e di attualità.
Si può trovare anche un aspetto “nuziale” nelle parole di Isaia che oggi Mt cita: “prese le nostre infermità”, parola che vuole dire anche “accogliere, ricevere”, come lo sposo dice nel nuovo rito di matrimonio “accolgo, ricevo te come mia sposa”. Anche la parola “portò” le nostre malattie, è detta ancora di Gesù che all’inizio della sua passione per amore “porta” la croce.
Il brano di oggi, presentando una guarigione quasi “privata” e le guarigioni di moltitudini di malati, dice che Gesù non disdegna né di curare in segreto, una persona allettata in una casa dove lui arriva, né in pubblico, al cospetto di folle di malati e portantini.
Una frase di S. Ignazio “(di cui in questi giorni abbiamo cominciato a leggere le bellissime lettere) a Policarpo riprende la citazione di Isaia, applicandola all’azione del Vescovo: “Parla ad ognuno singolarmente, a somiglianza di Dio, porta le infermità di tutti come atleta perfetto: dove maggiore è la fatica, molto è il guadagno”. E S. Paolo sembra volere suggerire questo non solo al vescovo, ma a tutti i cristiani quando scrive nella lettera ai Galati: “Portate il peso gli uni degli altri”.