11 Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. 12 Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. 13 Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. 14 Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
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Mi sembra che il tema più delicato e prezioso di questi versetti conclusivi della parabola delle nozze regali per il Figlio, versetti che sono memoria evangelica del solo Matteo, sia quello dell’abito nuziale. Vedo che le note delle bibbie, certamente con buone ragioni, vedono nell’abito nuziale il segno delle “opere buone”, tesi appoggiata all’autorevole testo di Apocalisse 19,8. Io però sento la rilevanza delle “opere buone” come frutto della comunione nuziale con il Signore, frutto doveroso ed esigente. Ma qui siamo proprio nell’orizzonte della chiamata e quindi dell’inizio della via della salvezza. Inoltre trovo poco omogenea questa ipotesi all’osservazione del ver.10 che diceva la sala nuziale piena di “cattivi e di buoni”, dove sembra di cogliere il compiacimento di una presenza indipendente dalle opere, e se mai l’enfasi posta sul fatto che anche i cattivi, accettando l’invito, hanno posto nell’assemblea nuziale.
Questo abito nuziale mi sembra alluda in modo forte al fatto che non solo si tratta di un abito adatto alla cerimonia e alla festa nuziale, ma è anche, e soprattutto, l’abito nuziale! L’abito nuziale della Sposa. L’abito nuziale di colei che dallo Sposo viene unita a Lui con il suo sacrificio d’amore! L’abito del popolo di Dio, che viene unito al Signore, quello che la tradizione dell’Oriente cristiano chiama “Sposo di Sangue”. Dunque un segno-simbolo di enorme rilievo!
Per questo mi sembra che l’abito nuziale sia se mai l’ “abito battesimale”. Sia in ogni modo il segno della misericordia divina e della gratuità, del dono della salvezza. Mi sembra cioè che, se da una parte la salvezza e la vita nuova di comunione d’amore con Dio per il sacrificio d’amore di Gesù devono collocarsi nell’orizzonte della pura grazia, del dono di Dio, dall’altra non si può non portare il segno, l’abito, la custodia e la difesa di questo dono. L’invitato che non porta l’abito nuziale desta il sospetto che non ritenga quell’invito e quella sua presenza nella sala nuziale come mirabile evento di salvezza, ma come un suo diritto o magari una sua conquista e merito. Credo che l’abito voglia soprattutto esprimere l’atteggiamento interiore e l’interpretazione profonda della vita dei discepoli di Gesù, dei figli di Dio.
Mi sembra che il non portare l’abito nuziale sia in quell’invitato quasi una sfrontatezza, una specie di vanto di quella “nudità” che i progenitori percepivano con timore e vergogna. La salvezza non è “natura”, ma appunto dono. Grazia.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Nella parte della parabola del banchetto che leggiamo oggi viene sottolineato ancor di più quanto già l’altro ieri ascoltavamo: non c’è nessuno che sia da sé degno di entrare al banchetto, ma solo si è introdotti per la grazia della volontà di Colui che ha invitato. Nessuno può entrarvi per i suoi meriti personali,ma tutti hanno bisogno di essere rivestiti dell’abito nuziale.
Il v. 14 “Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti”, sembra portare un insegnamento simile a quelle parole del Signore che indicavano la via e la porta della sequela come stretta, dove “pochi” vi entrano. Ora Gesù ha finito il suo viaggio verso Gerusalemme; durante il cammino ha “chiamato” molti a seguirlo (per andare a queste nozze, che sono la sua Pasqua). Tra questi molti ricordiamo il giovane ricco, e le parole di Gesù, dopo che esso se ne andò via triste, poiché aveva molte ricchezze. I discepoli reagirono con stupore alle parole con cui Gesù commentò questa defezione, e gli chiesero: “Chi dunque si potrà salvare?”. La risposta di Gesù ci aiuta anche per la comprensione di questo v. 14: “Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile”. Anche oggi è così: “Chi sarà salvato, scelto, eletto?” La larghezza della chiamata prevede che peraltro non per i nostri meriti e le nostre capacità siamo “eletti”, ma solo per la sua grazia.
Questo abito nuziale è la carità. “Il fine …è la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera” (1Tim 1:5). Come anche vedremo nel racconto del giudizio finale al cap. 25. La ricompensa allora sarà conseguente non a opere straordinarie, ma alla semplice carità nella vita e nelle relazioni quotidiane.
v. 12 “Ed egli ammutolì”: perché non risponde? Forse anche questo silenzio è colpevole. Poiché se uno consapevole di non avere la veste adatta, può sempre dire: “Signore aiutami!”, e rivolgersi al padre come fa il figliolo che ritorna a casa. E anche nel gesto che fa il padre, di rivestire il figlio che torna, c’è la sottolineatura della necessità di indossare questo abito per poter partecipare in pienezza al banchetto. L’abito bianco del battesimo, e l’abito della professione sono segni di questo abito nuziale che si riceve e va custodito.
Dobbiamo essere trovati rivestiti e non nudi; Adamo si nascose da Dio, scoprendo la sua nudità; ma anche allora, Dio trovatolo, lo rivestì di pelli.
Dio invita tutti al suo banchetto di nozze. E vuole che tutti abbiano l’abito delle nozze. Questo abito è il sigillo della grazia di Dio ricevuto nel battesimo e custodito nella vita. È la fede che accoglie con gratitudine il dono della salvezza. Allora – per fede – tutti siamo degni ed eletti a partecipare a quel banchetto.
Colui che viene legato e gettato fuori forse è il diavolo, che vuole penetrare dovunque, anche in quel banchetto. Soltanto la forza di Dio può eliminare e gettare nel fuoco il diavolo tentatore e accusatore, che disturba la nostra vita e lo stesso banchetto di Dio.
“Molti sono chiamati, ma pochi eletti”(v.14): un’affermazione che abbiamo letto a volte con un certo timore. Ho sentito però tradurla e interpretarla in modo più sereno e conforme all’amore del Padre. “Molti”, in ebraico, equivale a “moltitudine”, quindi a “tutti”: per tutti è la chiamata. “Eletti” poi non si riferirebbe a una ulteriore scelta: non si tratta di preferiti da parte di Dio, ma di coloro che hanno accolto la chiamata, l’invito. In pratica, nella parabola, tutti sono sia chiamati che eletti, ad eccezione di uno solo. Costui non ha messo l’abito nuziale… e don Giovanni e i fratelli di Mapanda hanno già spiegato di che si tratta.
Il re si rivolge all’uomo senza abito nuziale chiamandolo “amico”.
Ho visto che nel Nuovo Testamento è una espressione molto rara, usata dal solo Matteo in sole due altre occasioni.
Solo per Matteo, Gesù si rivolge così a Giuda al momento del bacio:”Amico, per questo sei qui!”(Mt 26,50).
L’altro unico punto in cui si usa questa espressione è nella parabola dei lavoratori nella vigna, quando il padrone rispondendo alle mormorazioni dei lavoratori della prima ora, dice ad uno: “Amico, io non ti faccio torto”.(Mt 20,13).
Mi sembra che queste tre persone si assomiglino.Forse rappresentano la situazione desolata di chi non sa accogliere la Sua Bontà (“tu sei invidioso perché io sono buono?”Mt20,15) e la gratuità del dono: la bellezza di aver lavorato tutti nella Sua vigna, primi ed ultimi, e ora la gioia di essere tutti insieme alla festa di nozze, cattivi e buoni.
E’ questo forse a portare “fuori” in quelle tenebre del testo di oggi: penso di nuovo a Giuda e alla sua uscita “di notte” dal banchetto del Suo amore fino alla fine (Gv13,30) e penso alle parole del signore della vigna:”Prendi il tuo e vattene” (Mt 20,14)
Forse l’abito che oggi è indispensabile indossare è semplicemente la gioia di essere gratuitamente invitati e seduti a quel banchetto. La gioia di essere salvati.”Io gioisco pienamente nel Signore,la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza” (Is 61,10)