19 Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20 e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». 21 Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. 22 Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea 23 e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
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Siamo proprio nelle mani di Dio. Lui conosce i tempi e i modi della nostra salvezza. Piegandosi sull’umanità del Figlio il Padre rivela anche a noi la sua paternità. Ed è molto bello che tutto passi ugualmente per la nostra responsabilità. Il bambino è nelle mani di Giuseppe, e tutti sono nelle mani del Padre! Il giudizio del Signore non è solo alla fine della storia, ma anche dentro la storia, e già dalla morte di Erode si comincia a capire come la morte possa essere la morte e basta, mentre nel mistero che ci viene rivelato la morte è per la risurrezione.
Notate la delicatezza del particolare che dice che Giuseppe “ebbe paura” di andare nella terra dove regnava il figlio di Erode. Dio sembra venire incontro a questa paura, o forse a farne la via per condurre la Famiglia verso la Galilea e verso Nazaret. E anche questo avviene “perchè si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti”. Qui poi il significato vero è difficile capirlo, sia per la fonte veterotestamentaria che darebbe origine a questo, sia per quanto riguarda il senso di questo “nome”. Forse si può pensare a “nazireo” che è chi è consacrato al Signore. Ma noi opopolani ci sentiamo bene anche a legarlo a Nazaret, con una etimologia un po’ popolare.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
PRIMA PARTE
L’obbedienza semplice di Giuseppe ricorda il cammino del popolo nel deserto, guidato dalla nube nell’esodo dall’Egitto. C’è una stretta comunicazione tra le cose del cielo e quelle della terra.
Erode che muore ricorda la morte del faraone d’Egitto e il fatto che dopo di lui sorse un altro re “che non conosceva Giuseppe”: in entrambe le vicende, ancora vediamo come sia vigile e presente sempre la guida celeste.
v. 21 “Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d’ Israele.” Giuseppe obbedisce alle parole dell’angelo, ha rispetto della sua presenza e della sua voce: si compie così quello che Dio disse al suo popolo in Egitto: Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato. Abbi rispetto della sua presenza, ascolta la sua voce e non ribellarti a lui” (Eso 23:20-21).
Le parole che l’angelo oggi dice a Giuseppe, sono un po’ diverse da quelle di ieri (“rifugiati in Egitto”) e ricordano la chiamata di Abramo (Gen 12:1) “Il Signore disse ad Abram: “Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò”, e anche la sua risposta di fede assomiglia a quella di Abramo: “Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.” (Ebr 11:8).
E Giuseppe “alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d’ Israele … e andò ad abitare (“prese dimora”) in una città chiamata Nazaret”. Queste parole (“entrare”, “prendere dimora”) ricordano le parole del prologo di Giovanni che dicono l’incarnazione del Verbo e il suo venire a dimorare presso di noi.
v. 23 “Sarà chiamato Nazareno”. Abbiamo già ascoltato nei vv. precedenti, molti nomi attribuiti al bambino che nascerà da Maria: Cristo, Gesù, Emanuele: tutti nomi importanti, che contengono il senso della visita di Dio, messia e salvatore, al suo popolo e il suo abitare con loro per salvarli. Oggi questo nome, “nazareno” indica il Suo ingresso nella vita ordinaria degli uomini, verrà chiamato col nome del suo villaggio, un villaggio senza particolare importanza e poco rinomato, tanto che Natanaele, invitato da Filippo ad andare incontro al Gesù obbietterà: “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?” (Gv 1:46).
continua
SECONDA PARTE
Questo nome contiene anche la memoria della consacrazione a Dio (nazìr), ma soprattutto è la memoria della vita semplice di Gesù, come cittadino di un piccolo villaggio di Galilea, uomo tra gli uomini.
Giuseppe obbedisce sempre alle parole dell’angelo, e quindi ai comandi di Dio. E facendo così la sua vita e i suoi sentimenti (compresa la paura) tutto entra nel piano di Dio. E poiché tutta la sua vita era ormai dedicata a compiere il suo dovere di proteggere il bambino e sua madre, anche la sua paura è accettata da Dio, tanto che l’istruzione dell’angelo conferma che è bene non andare in Giudea ma in Galilea, così come Giuseppe aveva pensato.
Questa paura, inoltre, indica che Giuseppe aveva preso sul serio questo compito di custodire il bambino e la madre. E l’angelo lo custodisce e gli dice cosa fare.
La morte di Erode è una liberazione, e così viene presentata dalle parole dell’angelo, che invita Giuseppe a riprendere il cammino: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e và nel paese d’ Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino”. Questo è vero anche ora, qui: quando una persona violenta muore si prova un senso di liberazione e di pace.
Il brano di oggi, insieme a quello di ieri, la fuga in Egitto e il rifugiarsi in Galilea, ci dicono la paura davanti alla morte e come sia opportuno non rassegnarvisi, ma secondo le indicazioni del Signore, trovare scampo via da essa là, dirigendoci là dove il Signore ci indica.
In Matteo l’angelo parla molto con Giuseppe e mai con Maria; in Luca, invece l’angelo parla con Maria: questo ci dice nella custodia e nella educazione dei figli è importante che tutti e due i genitori intervengano e facciano la loro parte. Anche il padre dunque, come Giuseppe ci mostra, deve curarsi di proteggere e istruire i figli.