ricerca scientificaCaro don Nicolini, mi piace fare un po’ di strada con lei e con chi le ha già scritto, su questi temi difficili proposti, ma bisogna dire imposti, dal nostro stesso progresso scientifico. Sono ricercatore in un istituto universitario della Lombardia. Il titolo è eccessivo perchè sono giovane e appena agli inizi di una speranza di lavoro che in Italia è molto incerta. Pensavo di entrare nel dialogo con una domanda che anch’io come studioso credente mi faccio spesso. Come si può mettere un limite alla ricerca scientifica? Non si deve necessariamente andare sempre avanti? La saluto con simpatia e stima. Messaggio firmato.

Caro amico, la ringrazio per il suo interessante messaggio. Le dico qualcosa della mia concreta esperienza, non certo di ricercatore (!), ma di modesto osservatore dei pensieri che accompagnano il cammino di chi come lei si dedica alla ricerca scientifica. Fino a non molti anni fa mi sembra fosse egemone il pensiero del diritto assoluto della cosiddetta "ricerca pura". Una ricerca che sta alle spalle di ogni applicazione dei risultati scientifici a qualsiasi campo della vita umana. Oggi mi sembra che questa idea sia da più parti sottoposta ad una certa revisione. Gli scienziati più pensosi e forse più colti – e intendo per cultura non solo l’erudizione, ma la possibilità di una sintesi e di un giudizio critico della realtà a partire dalle proprie competenze scientifiche – si accorgono che nessuna ricerca è così pura e quindi così al di sopra di ogni considerazione etica. E mi colpisce che in questa riflessione entri subito, con un certo realismo, la considerazione del "finanziatore" della ricerca stessa. Questa attenzione rivela, per esempio, che molte volte le risorse stanziate provengono da attenzioni forti verso la potenza militare e quindi verso l’uso di scoperte scientifiche a scopi bellici. L’esempio mi serve per dire che forse non si può trascurare anche per la ricerca scientifica più pura una domanda circa i fini verso cui quella ricerca tende ad essere orientata. Detto questo, ritorno ai temi etici sul mistero della vita umana di cui abbiamo incominciato a discorrere, per fare un’osservazione molto semplice, ma per me molto importante, sulla ricerca scientifica nel campo medico. Non possiamo ignorare che nel pezzo di mondo ricco nel quale noi viviamo, si approfondisce incessantemente, con spese grandi, una ricerca su malattie e farmaci sempre più raffinati, e tipici appunto di questa parte del globo. E questo avviene in un contrasto sempre più drammatico con la grande parte del mondo e della sua popolazione, che vive completamente – o quasi – sprovvista sia di una ricerca sui suoi mali e le sue malattie, sia sui farmaci che magari noi stessi abbiamo scoperto per debellarli. Ma che ora siamo molto avari a passargli. Penso alle sorelle della mia famiglia monastica che vivono nel continente africano immerse nel dramma dell’AIDS, praticamente senza risorse, e sempre con un divario inimmaginabile tra la moltitudine di persone che ogni giorno cercano una aiuto terapeutico e le possibilità concrete di rispondere a questa richiesta. Non se ne parla molto, nè molto volentieri, ma tutti sappiamo che questo dramma fa dell’Africa di oggi e dei prossimi decenni un continente tragico. Allora io dico: semplicemente parlando di risorse per la ricerca e per la scoperta di nuovi farmaci, non sarebbe ora di tutto valutare e decidere con una visione più unitaria della realtà del mondo? Se il progresso esige la ricerca, e la ricerca costa e costa molto, non sarebbe ora di valutare quali siano a livello mondiale – in un mondo sempre più ravvicinato e quindi sempre più piccolo – le urgenze più gravi e gli interventi più doverosi? Metto lì il pensiero come un piccolo contributo alla nostra riflessione comune. Buona Domenica. d.Giovanni.