32 Giunsero intanto a un podere chiamato Getsèmani, ed egli disse ai suoi discepoli: “Sedetevi qui, mentre io prego”. 33 Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. 34 Gesù disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”. 35 Poi, andato un pò innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora. 36 E diceva: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu”. 37 Tornato indietro, li trovò addormentati e disse a Pietro: “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola? 38 Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. 39 Allontanatosi di nuovo, pregava dicendo le medesime parole. 40 Ritornato li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano appesantiti, e non sapevano che cosa rispondergli. 41 Venne la terza volta e disse loro: “Dormite ormai e riposatevi! Basta, è venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. 42 Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino”.
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Dico delle Parole che oggi riceviamo dalla bontà di Dio quello che si deve dire di ogni Parola delle Sante Scritture. Sono Parole veramente infinite. Che, come diceva un grande Padre della Chiesa, “crescono con chi le legge”. Sono impressionato per come non solo interpretano anche il nostro tempo e i suoi problemi, ma addirittura lo precedono e lo illuminano. Si pensi a quale luce possono gettare sui temi di bioetica e quindi sull’attenzione cristiana all’agonìa, parola che come sapete viene alle lingue moderne proprio dalla versione latina di questo testo. Ma noi ci limitiamo, come sempre, a balbettare solo qualche povera parolina su questo canto di Dio.
Solo Marco descrive l’animo di Gesù con un verbo che ci consente di accogliere volentieri l’espressione “cominciò a sentire paura e angoscia”: siamo appunto nell’ora dell’angoscia. Siamo in quell’ora del “combattimento”(agòne) così drammatico da diventare nelle lingue moderne, appunto l’ “agonìa”, che normalmente si riferisce al tempo immediatamente precedente la morte. Anche l’espressione del ver.34 – “la mia anima è triste fino alla morte” – è molto drammatica, perchè dice un’esperienza “anticipata” della morte, e quindi molto più dolorosa della morte stessa; al punto che qualcuno dice che “fino alla morte” significa “tale che sarebbe meglio essere morti”.
Quando al ver.35 dice che Gesù “si gettò a terra”, alla lettera il testo dice più drammaticamente che “cadde per terra”. Gesù chiede esplicitamente che passi “da lui quell’ora”(ver.35), e che il Padre allontani da lui “questo calice”(ver.36). L’ora e il calice sono la volontà del Padre, per cui Gesù chiede che essi passino da Lui, ma proprio in questo modo chiede che si faccia non la sua, ma la volontà del Padre. E celebra così la pienezza della sua comunione d’amore con il Padre. Solo Lui può chiamarlo così intimamente e così direttamente “Padre”.
Ai discepoli, in particolare a Pietro, Giacomo e Giovanni, chiede di vegliare e pregare. E’ meravigliosa questa richiesta di non essere solo, ma di essere accompagnato dalla loro preghiera! E al ver.38 precisa che è “per non entrare in tentazione”, perchè “lo Spirito è pronto, ma la carne è debole”. Questa contrapposizione tra Spirito e carne, non bisogna pensarla come la composizione tra corpo e anima del pensiero greco. Lo Spirito, infatti, per un ebreo è sempre lo Spirito di Dio. Ora questo Spirito è anche dell’uomo perchè gli è donato da Dio stesso. Ma è sempre lo Spirito di Dio! Per questo, la preghiera è collegarsi e legarsi allo Spirito di Dio che è in noi, nel nostro povero essere di carne.
Qual’è il senso e il motivo del sonno dei discepoli? E’ principalmente la condivisione dell’angoscia e l’esperienza della paura. Per questo non riescono a fare quello che il Signore chiede loro.
I vers.41-42 esprimono mirabilmente lo stato d’angoscia, e i suoi drammatici passaggi da una cosa all’altra:” Dormite ormai e riposatevi..ecco è venuta l’ora..alzatevi, andiamo..”
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Il brano di oggi in Marco sottolinea con più abbondanza rispetto agli altri sinottici la umanità di Gesù, per la nota del v. 33 rispetto alla sua “paura e angoscia”: è ciò che ogni uomo prova davanti alla prospettiva della morte. Il v. 38 ci pone delle domande. Dicendo che “lo spirito e pronto ma la carne è debole” non crediamo che Gesù voglia distinguere nell’uomo una parte “buona” e “capace” e una altra parte invece “cattiva” e “incapace”. Pittosto vuole mostrare ai suoi discepoli il modo in cui Lui vive la Sua passione. Gesù esperimenta per primo che lo spirito può e che la carne è debole. E anche il corpo, che è debole, entra pure nella passione, unito allo spirito; e anche lo spirito – che è pronto – entra nella passione e patisce insieme al corpo. Al v. 36 Gesù prega il Padre: “Allontana da me questo calice!” AL cap. 13 Gesù aveva detto che rispetto “quel giorno e quell’ora, nessuno lo sa, neanche il Figlio…”. Per tre volte prega il Padre, e poi va dai discepoli, dicendo infine a loro: “E’ venuta l’ora!”. Il Signore arriva a quell’ “ora” vegliando e pregando, e accogliendo con la puà grande obbedienza la volontà del Padre. Questi vv. sembrano volere mostrarci Gesù come l’Agnello di Dio che “prende il peccato (tutto il peccato e tutti i peccati) del mondo” su di sè, tanto da diventare lui stesso “peccato”: lontano da Dio e degno del castigo che l’ira di Dio destina al peccato. Infatti i segni di come Gesù – assumendo il peccato del mondo e di tutti gli uomini – diventi partecipe delle conseguenze del peccato sono molti. Al v. 33 Gesù dice di provare “paura e angoscia”: e viene in mente la paura di Adamo dopo il peccato (che lo portò a nascondersi da Dio). Poi Gesù rivela ai suoi la sua “grande tristezza”, fino alla morte: è forse ancora la condivisione della stessa tristezza del peccatore, che a causa del peccato sa di essere distante da Dio e perciò triste (così forse si può interpretare anche il grido di Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio perchè mi hai abbandonato?”. Poi anche la sua preghiera “steso a terra” è di chi non può restare in piedi, (ma nemmeno in ginocchio a supplicare!) davanti a Dio, ma steso come morto attende la risposta di Dio. Quindi se Gesù si offre in piena obbedienza al Padre come Agnello senza macchia, si può dire anche che accetta su di sè il giudizio di Dio avendo assunto la condizione dell’uomo peccatore, e liberando così l’umanità dal castigo che le spettava, e ridonandole la comunione con Dio (forse quello “Spirito pronto” a venire nei cuori degli uomini, che altrimenti – soli a se stessi – sono “debole carne”?)
Gesù si immerge pienamente nella sofferenza umana: paura e angoscia, che ci accompagnano così spesso nel nostro cammino quotidiano; tristezza e solitudine… Chi sta male, vorrebbe un aiuto…, ma è così difficile averlo (e darlo). Quel cadere per terra rappresenta bene questa immersione del Signore in pensieri e sensazioni mortali. Si rifugia presso il Padre, e lo chiama con il nome della tenerezza filiale: Abbà, Padre mio, aiutami… Le immagini dell'”ora” e del “calice” sono dense di significato e di rievocazioni bibliche. E’ il momento atteso, annunciato, abbracciato ora con decisione da Gesù, dopo l'”agone”: Alzatevi, andiamo, colui che consegna il figlio dell’uomo è ormai vicino…
Mi colpisce la solitudine di Gesù e il suo desiderio di sottrarsi alla solitudine, il suo bisogno di solidarietà. Prega il padre, muto e lontano. Chiede solidarietà ai tre discepoli più vicini, quelli della trasfigurazione. Niente. Ognuno si può ritrovare in questo momento. Gesù parla a tutti, il vangelo è per tutti. Mi vengono in mente le parole ascoltate domenica “Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.” (Fil 2,6-8)