24 Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già la vostra consolazione.
25 Guai a voi che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi che ora ridete,
perché sarete afflitti e piangerete.
26 Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi.
Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti.
27 Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, 28 benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. 29 A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. 30 Da’ a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. 31 Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. 32 Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. 33 E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. 34 E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. 35 Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; perché egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi.
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Il “guai”, che nel testo di Luca ricomparirà al cap. 11 nell’invettiva contro i farisei, si può intenderlo come un “grido”, un allarme e un violento richiamo e ha la sua ragione profonda nel segnalare situazioni e atteggiamenti che si collocano all’opposto del mistero di Dio. Il grido è tanto più vibrato quanto più una situazione simile è non solo accettata, ma addirittura data per buona e magari attribuita a Dio stesso! E’ evidente come le parole di oggi siano quindi scandalose per ogni concezione “razionalistica” di Dio, che ovviamente non può essere concepito altro che in una eterna e intoccabile beatitudine, in una impassibile e statica solitudine. Ma questa non è certo la rivelazione che la profezia ebraica e, nella pienezza dei tempi, Gesù Cristo ci hanno donato. Se le “beatitudini” dei vers. 20-22 si ponevano come via e soglia della risurrezione, ora le conseguenze dei “guai” dicono il ritmo di morte che caratterizza ogni mondanità: il ricco ha “ora” la sua consolazione, e quindi ciò che lo aspetta è inevitabilmente il suo deperire nella morte. Così tutte le condizioni di “grandezza” mondana, destinate inevitabilmente a finire. Non mi sembra si debba tanto parlare di punizioni e di castighi, quanto di caducità di ogni grandezza mondana.
Il segreto della vita nuova è Gesù! I vers. 27-35 non possono essere ricevuti come imperativi etici, né come consigli sapienziali, se prima e soprattutto non sono colti come meditazione ammirata sulla presenza in mezzo a noi del Figlio di Dio e della sua opera. Ciò che possiamo e dobbiamo domandare come dono supremo è il poter un qualche modo camminare dietro a Lui, e ricevere la grazia dello Spirito per poterne imitare qualche tratto. Per questo mi sembra si debba radicalmente correggere la proposta della versione italiana circa il termine reso con “merito” ai vers. 32.33.34. Un merito è qualcosa che meritiamo, che quindi ci è in qualche modo dovuto. Qui la parola è invece “grazia”, e quindi dono, realtà umanamente impossibile e sempre immeritata. La vita cristiana, prima di essere un dovere, è quindi un dono! E non sospettate una caduta masochistica! Amare i nemici, pregare per chi ci tratta male, porgere l’altra guancia a chi ci dà una sberla, regalare anche la tunica a chi ci leva il mantello, dare a chiunque ci chiede…è dono regale di partecipazione al mistero stesso di Dio!
Tutto questo avrà un guadagno – più che un premio, come dice il ver. 35 – che esplicitamente è affermato: “sarete figli dell’Altissimo”. E di Lui si dice quello che non può essere dimenticato mai, e cioè che Egli “è buono verso gli ingrati (è il contrario di quella “grazia” che si diceva prima!) e i cattivi”.
A completamento del commento di d. Giovanni su quel “Guai!”, riprendo quanto suggerisce la nota della TOB. Non si tratta del nostro minaccioso “guai”, ma del lamento funebre usato abitualmente nel mondo orientale. Potremmo renderlo con l’espressione “Ahi! Ahi!”. Dunque, a queste persone, piene di beni, dominate dalla ricerca di egoistico possesso e di soddisfazioni non condivise, Gesù fa presente che, per loro, con la morte finisce tutto. Così vivendo, mettono in atto un processo di autodistruzione, che diventa definitivo con la loro morte fisica. Non c’è bisogno di altre condanne o di altri “inferni”. – La vita di “grazia” del credente, invece, è mirabilmente descritta nei vv. successivi: è la vita nell’amore, nel dare, nel condividere… E penso che tutti abbiamo fatto questa esperienza: dando qualcosa di noi, ci siamo sentiti felici…, conformemente a quella preziosa parola di Gesù non trasmessa dai Vangeli, ma custodita da Paolo: C’è più beatitudine nel dare che nel ricevere!