In una domenica come questa, così preziosa nel tempo pasquale e così importante per il nostro paese, è bello vedere come la Parola di Dio ci guidi e ci preceda nelle nostre vicende, sia personali che collettive, e ci indichi le vie della sapienza e della pace. Oggi in Italia si deve decidere chi sia più atto a guidare la vita della nazione e dello stato. Nelle nostre assemblee liturgiche si proclama il vangelo del pastore e della sua guida del gregge verso la casa del Padre di tutti.

Facendo un piccolo sforzo di "laicità" come è richiesto ad ogni credente che vive in un mondo ricco di tante diverse interpretazioni della vita, è bello poter individuare e proporre, non una parte, nè tanto meno un nome, quanto piuttosto la fisionomia sapienziale di chi, secondo la grande tradizione ebraico-cristiana, può governare, nelle vicende del mondo e nell’umile tessuto della vita civile, il nostro popolo, che comprende in sè credenti e non credenti, e tutte le condizioni della vita, anche le più ferite, le più lontane, le più esiliate dal comune sentire.

Per esempio, anche i miei amici del carcere della Dozza. Gesù ci dice oggi che la prima nota distintiva del vero pastore del gregge è la sua radicale sottomissione alla tradizione, alla cultura, alla spiritualità del suo popolo. E’ la legittimità del pastore che entra attraverso la porta della sua sottomissione e non con la violenza del suo potere personale o del suo brigantaggio. Un potere non subordinato, e cioè non sottomesso a valori di riferimento, un potere che si proponesse solo per la forza della sua potenza, sarebbe insubordinato, e quindi illegittimo. Un ladro e un brigante, lo definisce con severità la parola evangelica.

L’altra nota forte richiesta al pastore è quella di essere un liberatore: dopo essere entrato nel recinto del gregge attraverso le porte della giustizia e della legittimità, egli ha il compito di promuovere un viaggio di liberazione, un viaggio di riscatto e di pace che possa generare in ogni persona la speranza di un esito positivo del suo cammino esistenziale. Non quindi un ordine carcerario, che tenga il popolo nella reclusione di un recinto, ma una speranza di vita dignitosa per ogni figlio di Dio. Per poter fare questo, si chiede al pastore di essere persona guidata da una tale passione di verità e di amore, da mettere in gioco la sua stessa vita. Il vero pastore cioè non gioca per il suo tornaconto e per la sua gloria, ma per il vero bene di ognuno e di tutti. Ci sono pastori d’inganno, ma alla fine si riconoscerà il vero pastore dalla "voce delle sue parole".

E’ dunque molto bello che la maternità della Chiesa non ci dica oggi chi deve essere scelto, ma quali siano le note forti della sapienza del governo di un popolo. Purtroppo anche noi cristiani manchiamo molto spesso di questa sapienza della laicità, l’unica capace di condurci nelle vicende del mondo senza essere del mondo, e nello stesso tempo in grado di essere vicini ad ogni persona, ad ogni feritra, ad ogni speranza. Qualunque sia l’esito della competizione elettorale, per i discepoli del Signore il compito resta lo stesso: l’umile determinazione di "negoziare" le grandi luci della nostra fede, di metterle in gioco nel dramma della storia, in modo che non ci sia angolo oscuro della vicenda umana privo di una piccola luce del mistero di Gesù. Il regno di Dio non è di questo mondo. Ma questo mondo ha fame e sete anche di una sola briciola che cada dalla grande mensa dell’Amore di Dio. In ogni modo, non lasciamola mancare. Un abbraccio. d.Giovanni.