Caro don Giovanni, in famiglia abbiamo deciso di trasferire a lei e alla sua rubrica una questione sulla quale abbiamo discusso tra noi genitori e i nostri figli senza riuscire a metterci d’accordo. Uno di loro che è scout e ha anche una certa responsabilità educativa nel suo gruppo diceva che oggi non è più possibile parlare di un ideale di povertà come si legge nel Vangelo e come ha vissuto un uomo come Francesco d’Assisi. Siamo arrivati a dirci che non si capisce come la povertà possa essere considerata un bene….(seguono quattro firme)

Il vostro messaggio mi ha riportato a molti anni fa nella casa della mia famiglia e al piacere un po’ tumultuoso di queste discussioni conviviali. Tutto era occasione per discutere e dibattere. Ricordo che ci si scaldava parecchio. Credo che siano stati per me dei passaggi formativi di grande importanza. Non sono in grado di affrontare qui, in poche righe, un tema tanto complesso e delicato. Mi limiterò a comunicarvi un pensiero emerso tra un gruppo di amici ospiti a cena ieri sera, un’ora prima di trovare nella mia posta la vostra lettera. Abbiamo messo insieme una specie di associazione che si chiama "Povertà: nuove ricchezze" che vorrebbe verificare come proprio le grandi "povertà" del nostro mondo e del nostro tempo possano essere il principio fecondo di nuovi modi di pensare e di vivere. Un nostro nuovo commensale poneva delle obiezioni e delle difficoltà simili a quelle che voi avete trovato nel vostro dialogo sulla povertà. Abbiamo provato a mostrargli quanto sia positiva e feconda una povertà "evangelizzata", e quindi non abbandonata a se stessa, ma visitata dalla luce sapienziale della nostra fede in Gesù Cristo. In questa prospettiva la povertà come realtà e consapevolezza dei propri limiti diventa fonte e grembo dell’amore. La tesi di partenza è che ognuno è povero: chi in un modo chi in un altro, non c’è nessunno che "non abbia bisogno", anzi che non abbia bisogno di "essere salvato", cioè di essere preso per mano e liberato dalla propria prigionìa: chi dalla povertà materiale, chi dalla paura, chi da un male più grande di lui, chi da una qualche "ignoranza", chi dalla solitudine o dall’angoscia…E d’altra parte ognuno ha qualche cosa di prezioso da comunicare, da donare…anche a partire da una condizione che parrebbe razionalmente solo bisognosa. Dunque, ognuno è povero ed è ricco. Ognuno ha bisogno che un altro gli lavi i piedi, ed è a sua volta capace di lavare i piedi a qualcun altro. La reciprocità è elemento irrinunciabile dell’amore cristiano. Ci sono di questo delle verifiche molto interessanti anche in orizzonti esterni alla fede. Si faceva l’esempio della ricerca scientifica. Caduta la vecchia e dannosa tesi positivistica che sia possibile impadronirisi di tutto lo scibile, si è affermata una tesi opposta, e ogni ricercatore serio e onesto sa che l’orizzonte della sua ricerca trascende inevitabilmente ogni risultato raggiunto. La vera sapienza è sapere di non sapere. E non solo! Tende a scomparire nel nostro tempo l’immagine del "genio solitario", e il ricercatore lavora quotidianamente in collaborazione non solo con chi gli è fisicamente vicino, ma in certo modo…con tutto il mondo che come lui e con lui sta ricercando. Dunque, questo tipo di povertà, che si potrebbe verificare in infiniti altri campi dell’esperienza, è altamente feconda, sceglie la pace e ripudia la competizione, esalta l’umiltà e gode del bene che ognuno può ricevere e può ricambiare. d.Giovanni