primapaginaArticolo pubblicato su Bologna Sette di domenica 13 settembre 2015

La nostra accoglienza

Dopo l’appello del Papa, il cardinale indica come agire con i profughi

DI CARLO CAFFARRA *

L’accoglienza dei profughi cui ci ha invitato Papa Francesco all’Angelus di domenica scorsa si può realizzare attraverso un processo che sarà inevitabilmente lento e ponderato e con queste caratteristiche.

1. Non si tratterà di una accoglienza emergenziale di persone appena arrivate, per le quali sono attivi apposti centri: Cara (Centro accoglienza richiedenti asilo) e Cas (Centro accoglienza straordinaria); si tratterà invece di accoglienza di singoli o nuclei familiari già identificati e conosciuti per i quali si potrà predisporre un percorso specifico caso per caso.

2. In questo processo l’arcidiocesi agirà attraverso la Caritas diocesana che si interfaccerà da un lato con Prefettura e i Centri di cui sopra e dall’altro con le Caritas presenti sul territorio (parrocchiali, interparrocchiali o di zona o di vicariato). Alle Caritas presenti sul territorio faranno riferimento le singole parrocchie o comunità religiose o altre realtà che si rendono disponibili all’accoglienza.

3. Si vuole offrire ai profughi percorsi di vera accoglienza e integrazione e, al tempo stesso, garantire chi accoglie di non essere lasciato a se stesso nel gestire situazioni che sono delicate e faticose. Ogni realtà che accoglie è necessario che sia quotidianamente visitata, monitorata e sostenuta dalla comunità tutta e da altre figure esterne competenti e autorevoli. Potrebbe essere questo uno spazio affidato anche ad Associazioni, Movimenti e altre Aggregazioni ecclesiali, che possono offrire alla realtà ospitante svariate forme di sostegno organizzato.

4. Sarà gioia e onore per chi accoglie offrire amicizia, vicinanza fraterna, vitto e alloggio gratuitamente, escludendo quindi, nella generalità dei casi, ogni forma di rimborso economico per l’accoglienza prestata. Tutto ciò che invece comporterà costi e impegni ulteriori (ad esempio assistenza sanitaria, corsi di lingua e di formazione, adempimenti burocratici e tutto quello che, pur necessario, esula dal vitto e dall’alloggio) non sarà a carico della realtà ospitante, ma impegno delle realtà caritative e istituzioni preposte che sovrintendono, gestiscono e tutelano questa accoglienza e il suo buon andamento.

5. La parrocchia non si identifica con il parroco o la canonica o le strutture parrocchiali. Proprio perché l’accoglienza sia espressione di tutta la comunità cristiana, si chiede che i sacerdoti responsabili di parrocchie e zone pastorali non si facciano carico da soli dell’accoglienza. Se non si riuscisse a garantire una effettiva corresponsabilità con almeno alcuni parrocchiani, neppure il parroco da solo potrebbe far fronte al bisogno; in tal caso si prenderà atto con dolore della impossibilità di accogliere.

6. Il primo passo che ora concretamente possiamo compiere nelle nostre comunità è indirizzare alle Caritas presenti sul territorio o ad un referente individuato appositamente, le disponibilità di accoglienza che vengono offerte (un appartamento abitabile ma ora non utilizzato, una famiglia disposta ad accogliere in casa propria qualcuno, altri spazi utilizzabili allo scopo).

Nel frattempo la Caritas diocesana attiva i contatti con le istituzioni per capire di cosa c’è bisogno. In una fase successiva si potrà iniziare a ipotizzare abbinamenti tra singole situazioni di bisogno e le realtà più adatte ad accoglierle.

Queste sono prime indicazioni d’intenti e di prospettive, per iniziare a dare corpo alla richiesta del Papa, sgomberare il campo da improvvisazioni, e cercare di muoverci in modo ordinato. Siamo solo all’inizio, ma ci siamo messi subito in cammino e a Dio piacendo speriamo di fare molta strada.

* arcivescovo di Bologna