Pellegrinaggio a Gerusalemme con i miei fratelli della famiglia Nicolini, la casa dove sono nato e cresciuto. Loro, i loro figli, i loro nipoti. Ospiti in questi giorni dei miei fratelli che qui a Gerusalemme vivono e pregano. Alla fine del pellegrinaggio, in ricordo, una vecchia fotografia di più di trent’anni fa: i nostri genitori, nel pellegrinaggio diocesano di Bologna in Terra Santa, sulla riva del fiume Giordano. Angeli che ci hanno accommpagnato in un ricupero di memorie preziose, nella viva presenza, pur tra prove e limiti nostri, di quello che il papà e la mamma ci hanno regalato nel loro pellegrinaggio verso la Casa del Padre.

Giorni straordinari, qui a Gerusalemme. Pasqua degli Ebrei, affollatissima. Pasqua per la Chiesa Ortodossa che qui è la più grande tra le tredici comunità ecclesiali presenti nella Città Santa. Gente innumerevole per questa festa: molta gente, spesso di umile condizione, dalla Grecia; moltissima dalla Russia e dagli altri paesi dell’Europa orientale. Moltissimi anche i pellegrini del resto del mondo.

Ieri, venerdì, la consueta moltitudine di figli dell’Islam per il giorno del Signore secondo il Corano. Una folla immensa. Certo, anche divisa. Molti non sanno nulla l’uno dell’altro. Ma la città, come un unico grembo materno, li accoglie tutti. Sono vicini tra loro il Muro del Pianto ebraico diventato ora luogo di festa, il Sepolcro del nostro dolce Signore, e la spianata delle grandi Moschee che fanno di Gerusalemme la terza Città Santa dell’Islam. E da una preghiera all’altra la gente sciama dai Santuari a riempire le piccole strade della Città Vecchia, come una linfa troppo abbondante per un corpo troppo piccolino.

Allora questi figli di Dio, fratelli tra loro, l’uno all’altro stranieri, estranei e persino nemici, s’incrociano, si sfiorano, si toccano. Ognuno dietro al suo dono e al suo pensiero. In quel momento Gerusalemme diventa una grande, provocatoria domanda sulla pace. E quindi sulla via per cercarla e sperarla. Qual’è il futuro che ci aspetta? Un perpetuo conflitto senza speranza? La desertificazipne del tutto meno uno, a governare una grande solitudine imperiale? Oppure? Oppure il superamento del pensiero ossessivo che se non prevali sull’altro, sarai dall’altro annientato. La memoria di tempi nei quali la diversità delle fedi non ha umiliato, ma ha esaltato le diversità. La determinazione di mettere fine alle crudeltà di ieri e di oggi che consentono in nome di Dio di commettere atrocità sui figli di Dio.

Le Chiese presenti in Gerusalemme da tempo hanno riconosciuto in questo il loro compito nel dramma del conflitto tra i due popoli, arrivato sino all’orrore di quel muro che dice violenza e oppressione, ingiustizia, e persino, almeno a Gaza, fame. La Chiesa del Signore è avvenimento nel quale il muro di separazione viene abbattuto. Gesù, la nostra pace abbatte il muro e fa dei due un popolo solo. La Chiesa è questa riconciliazione dei due nel mistero del Figlio di Dio, crocifisso per la salvezza di tutti i figli di Dio, cioè dell’intera umanità.

E per ora, che fare? Continuare a pazientare con la pazienza di Dio. Non fare dell’attualità terribile del gesto fratricida di Caino l’unica notizia quotidiana per il mondo intero. Custodire la memoria di Gerusalemme, Madre di tutti i popoli, insanguinata dal sangue dei suoi figli, ma custode del Sangue del Figlio di Dio, che nel suo Vangelo ci affida la responsabilità della pace. Buona Domenica. d.Giovanni.