1 Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù disperse nel mondo, salute. 2 Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, 3 sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza. 4 E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla.
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È molto bello l’indirizzo di saluto del ver.1. I destinatari sono «le dodici tribù della diaspora» (così, alla lettera l’espressione resa in italiano con: «disperse nel mondo»). Grande continuità dunque con il mistero d’Israele, e insieme con la dispersione storica degli ebrei in tutto il mondo: promessa e concreto inizio della presenza cristiana in tutto il mondo. Come sappiamo, infatti, la predicazione apostolica ha avuto come suoi primi luoghi in tutto il mondo le comunità ebraiche che già ai tempi del Signore erano sparse ovunque.
Con una traduzione un po’ “francescana” veniamo invitati alla perfetta gioia. Vi faccio notare l’interessante ripresa terminologica tra il “salute” del ver. 1 – che alla lettera sarebbe “gioite” -, e la gioia che Giacomo vede come sentimento profondo di chi deve subire svariate prove.
In questo modo viene introdotto il grande tema della “pazienza”, termine reso in latino sia con “patientia”, sia con “sufferentia” come in questa lettera in Giacomo 5,11. È un termine difficilmente traducibile in italiano, che spesso compare come “perseveranza” oltre che come pazienza. Si tratta di un sostantivo e di un verbo che dicono la potenza di chi sa sopportare, sa portare, è capace di “stare sotto”, cioè di sostenere. È il volto nuovo della potenza, quella vera, che non è il potere di stare sopra, di dominare, ma, come nella tradizione latina suggerisce la stessa parola “rex”, è la capacità di reggere e appunto di sostenere. È la potenza nuova che Gesù ha rivelato, realizzato e comunicato con il suo sacrificio d’amore, che lo fa Re e Signore in senso opposto ai poteri mondani.
Secondo il ver. 3 tale “pazienza” è il frutto di una fede messa alla prova, di una fede provata. Il credente vive esposto alla contraddizione del mondo, ed è questo che genera e fa crescere in lui questa capacità-potenza di “stare sotto”, di sostenere. È una potenza spirituale iconograficamente resa visibile dal portare la croce.
Questo mi sembra voglia dire quell’ “opera perfetta” che al ver. 4 viene ricordata, e che mi sembra essere quella “celebrazione” della Pasqua di Gesù che è la dinamica profonda dell’agire cristiano. Essere “perfetti e integri” non vuol dire quello che la nostra tradizione culturale legata al mondo classico potrebbe suggerire, e cioè una condizione personale “perfetta”, senza difetti. “Perfetto” significa nel linguaggio cristiano condizione profonda della nuova creatura secondo Cristo, plasmata dal suo Spirito. E anche il termine “integri” si riferisce, più biblicamente, alla condizione di chi riceve con piena accoglienza l’eredità del Signore.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Al v.3: ‘la prova della vostra fede produce la pazienza’. Non ho ben capito se con ‘pazienza’ si intende sopportazione, resistenza..o più in generale uno ‘stile interiore’.
Mi ha però colpito come sia legato così stretto alla fede.
Che bell’inizio questa lettera!!
La lettera è rivolta a tutti, anche a noi. Ci invita alla pazienza, a rimanere sotto. Rimanere sotto la croce, sotto le situazioni e sotto le persone, senza lasciarsi schiacciare. Ma portare, prendere su di sé. E’ la pazienza che completa l’opera in noi portandoci alla perfezione. Non una perfezione morale da supereroi ma una perfezione che significa indirizzare la nostra vita verso un fine unico e preciso, fare una scelta fondamentale, pur con tutti i nostri limiti e le nostre contraddizioni, e tendere così alla nostra completezza.
Paziente e misericordioso è il Signore, lento all’ira e ricco di grazia.
Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature.
Salmo 144