nicolini_800_1777921(314x220)Segnaliamo questa bella intervista-testimonianza del ns d. Giovanni Nicolini pubblicata in questi giorni nella rivista ufficiale del Giubileo “CREDERE”
http://www.credere.it/n.-22-2016/sfogliabile-n-22-2016.html

e su “FAMIGLIA CRISTIANA”
http://www.famigliacristiana.it/articolo/don-giovanni-nicolini-la-casa-di-dio-non-e-un-tribunale.aspx .

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Don Giovanni Nicolini. La casa di Dio? Non è un tribunale

(26/05/2016  di  Simonetta  Pagnotti)

A Bologna è noto come «il prete dei poveri». Parroco, cappellano in carcere e in ospedale, della “novità Bergoglio” dice: «Tanti non accettano le sue aperture. Ma indietro non si torna»

«Credevo di aver già ricevuto il regalo più bello quando ho maturato la mia scelta anche grazie a papa Roncalli e invece, alla mia età, guarda cosa mi capita». Don Giovanni Nicolini è entusiasta dell’“aria nuova” che si respira nella Chiesa. Un’aria che per lui, dossettiano da sempre, si ricollega alla profezia del concilio Vaticano II. Lo incontriamo a Bologna, nella nuova cappella del policlinico Sant’Orsola.
La sua seconda parrocchia. La prima è quella di Sant’Antonio di Padova alla Dozza, a poca distanza dal carcere cittadino, per cui si può dire che di fatto le sue parrocchie sono tre, carcere compreso. Del resto Bologna l’ha sempre percepito come «il prete dei poveri», fin da quando era parroco a Sammartini di Crevalcore, dove don Giovanni ha fondato la comunità delle Famiglie della visitazione, oggi formata da una trentina di fratelli e sorelle più altrettante coppie di sposi che si dividono tra la missione della diocesi in Tanzania, Gerusalemme, Crevalcore e appunto la parrocchia della Dozza.
Anche qui don Giovanni, che è stato direttore della Caritas diocesana, è “inseguito” dai poveri, che bussano incessantemente alla sua porta. E vengono accolti. Attualmente, oltre a quattro fratelli della comunità, vivono in canonica otto persone, tra cui diversi immigrati, e sei donne eritree. «Ma la persona più preziosa è Massimo, che vive con noi da trent’anni e che ha bisogno di tutto», spiega.
Per lui, che è nato a Mantova settantasei anni fa, primogenito di una famiglia di “stirpe” notarile, tutto è cominciato con la lettura del Vangelo. «Ero capo scout e come tutti gli altri venivo invitato a commentare qualche passo del Vangelo: in questo modo ho capito che ne ero innamorato, che la passione per la Parola stava cambiando la mia vita».

LO SPIRITO DEL CONCILIO

Così ha rinunciato al diritto di primogenitura in favore del fratello. Si è iscritto alla facoltà di Filosofia alla Cattolica e poi è passato alla Gregoriana di Roma, proprio negli anni del Concilio. «Anni meravigliosi, in cui a Roma c’era il mondo». Qui è avvenuto l’incontro col cardinale Lercaro, arcivescovo di Bologna e figura fondamentale del Concilio, con don Dossetti e con i primi preti operai. Un circuito che l’ha confermato nella scelta del sacerdozio e l’ha portato direttamente nella sua città di elezione, Bologna. Prima a Crevalcore, dove è stato parroco per vent’anni, e poi alla Dozza. «Subito dopo l’elezione, papa Francesco ha detto che sognava una Chiesa povera e per me già questo è stato un regalo, anzi un doppio regalo, perché poi ha mandato a Bologna un vescovo come don Matteo Zuppi».

CON I CARCERATI E ABBADO

A Bologna don Giovanni è spesso identificato con il suo impegno a favore dei detenuti. Ha fondato una cooperative di donne carcerate che producono borse e altri oggetti ma soprattutto, insieme al maestro Abbado, ha fondato il coro Papageno, formato da carcerati e volontari. «La cosa meravigliosa è che, quando cantano, non si distinguono gli uni dagli altri». Si tratta di un’esperienza legata alla sua passione per la musica, visto che don Giovanni è anche un bravo pianista. «Un giorno mi telefonò il maestro Abbado dicendomi che voleva bene ai poveri», racconta. «Da lì è partito tutto». Il coro e anche una grande amicizia, durata fino alla morte di Abbado. «Una volta gli spiegai che lui stesso era un povero nei confronti della musica, perché si metteva al suo servizio, come faccio io nei confronti della Parola».
L’Anno della misericordia per don Giovanni segna una svolta di cui non si potrà non tenere conto. «Senz’altro si tratta di una riflessione molto importante», conferma. «Sottolineare la misericordia significa attribuire a Dio la possibilità di sanare situazioni che prima ci sembravano escludenti». Non è sempre stato così, evidentemente. «Noi abbiamo dimenticato, per esempio, una data come il 1° luglio 1949, in cui ci fu la scomunica dei comunisti», continua. «Oggi i comunisti non ci sono più, ma per esempio in molte famiglie, anche cattoliche, c’è grande sofferenza a causa della fragilità dei rapporti che provoca separazioni e formazione di nuovi nuclei familiari. Dire che la misericordia può sanare anche queste situazioni significa dire che nessun cristiano è fuori dalla Chiesa. Con conseguenze importanti, anche per noi sacerdoti».

LA SVOLTA GIUBILARE

A questo punto fa una pausa e diventa molto serio. «Sono convinto che non si potrà tornare indietro, anche se è di drammatica attualità la parabola del figliol prodigo», ammette. «Sono duemila anni che noi aspettiamo di sapere se il fratello maggiore si sia deciso o meno a entrare in casa, dopo che suo padre ha ammazzato il vitello grasso per il fratello dissoluto che è tornato indietro non perché pentito ma solo per fame. Oggi sono tanti i cristiani che, come il fratello maggiore, non si ritrovano in questa Chiesa che spalanca le porte. Io credo che le ragioni di queste persone vadano rispettate, ma che poi si debba comunque fare festa. Alla fine il fratello maggiore capirà che questa è la casa di Dio e non è un tribunale».

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