adultera_2Giovanni Nicolini
Dalla rubrica IL TESORO NEL CAMPO su “Jesus” di Novembre 2013.

Nella nostra parrocchia alla periferia di Bologna, lungo il quotidiano cammino di preghiera nella Parola del Signore, siamo arrivati al quarto capitolo della Prima Lettera ai Corinti, dove l’Apostolo parla del ministero apostolico e in particolare del “giudizio” che la Parola del Signore porta su tutti e su tutto. Paolo afferma che ogni giudizio deve essere estremamente prudente perché , afferma: “Il mio giudice è il Signore!”. Al punto che neppure il giudizio della coscienza si può considerare certo e definitivo. E c’è di più! Intervenendo nella nostra “conversazione” sulla Parola, uno dei fratelli ha portato il discorso ad una ulteriore dilatazione, commentando il versetto nel quale il testo ammonisce: “Non vogliate giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori: allora ciascuno riceverà da Dio la lode”: una conclusione stupefacente! Questo fratello diceva, incoraggiato dall’affermazione che anche “le tenebre” custodiscono dei “segreti”, che Dio, come la donna della parabola, “accende la lampada, e spazza la casa, e cerca accuratamente” finchè non trova la sua perduta moneta. Dunque, che Dio possa trovare veramente in tutti un motivo per quella “lode” che egli vuole dare ai suoi figli? Forse che anche nelle tenebre più profonde sia nascosta una piccola luce che induce Dio a lasciare la sua “lode”? Audace, ma anche affascinante l’ipotesi del mio fratello Martino! Quello che in ogni modo è certo è che il giudizio ultimo è solo del Signore. Se questo è vero, e credo che proprio sia così, bisogna che a livello personale come nella stessa comunità cristiana molte cose siano rivedute. Dalla condanna a morte all’impedimento perpetuo di accostarsi all’Eucaristia, alle persone che avessimo escluso dal nostro affetto e alle relazioni che potessimo ritenere spezzate per sempre, tutto deve essere ripensato. Mentre discorrevamo di questo, qualcuno ha chiesto come allora comportarsi in tanti frangenti; e citava il caso che in questi giorni è in discussione sulle esequie del disgraziato Pribke. Siamo unanimi nel pensare che, magari con una celebrazione del tutto riservata, è assurdo rifiutare ad un defunto il segno della misericordia e dell’intercessione. In una trasmissione alla radio sentivo poi una signora che proponeva per questo povero sciagurato una sepoltura nel luogo dove riposano le sue vittime! È una tesi estrema, ma non priva di interesse per chi sa come la misericordia divina non abbia limiti, soprattutto là dove la vittima diventa segno di una perenne intercessione per il suo crocifissore. In ogni modo si concludeva la nostra riflessione con l’affermazione che la giustizia affidata a noi e alla comunità cristiana deve essere sempre una giustizia “salvifica”, cioè orientata alla salvezza. Un giudizio che non è mai sentenza definitiva e condanna senza appello, ma che sempre celebra il perdono divino e la prospettiva di una strada nuova, libera dalla prigionia del male e della morte. Come quando Gesù, nell’ottavo capitolo del Vangelo secondo Giovanni, dice alla donna adultera che nessuno ha lapidata, perché nessuno era senza colpa, Lui, “il senza colpa”, le dice: “Neanch’io ti condanno; va’, e d’ora in poi non peccare più”. Da Gesù in poi, il perdono è la vera potenza che promuove e sostiene ogni cammino di redenzione. Ma non sempre è semplice accettare questa “misura” della giustizia divina. Forse è per questo che, sempre nella nostra parrocchia di periferia, sta facendo tanto assurdo rumore una disposizione di legge che consente ad una persona ospite del carcere di trascorrere qualche ora di lavoro da noi. Ho molto apprezzato le parole che su questo ha scritto la Signora Mirella Poggialini in “Avvenire” di domenica tredici ottobre: “Il silenzio, che rappresenterebbe la pietà nei confronti di tutti, vittime e carnefici, si cancella per il clamore di discorsi vuoti e ripetitivi, in cui l’emozione superficiale annulla ogni umanità”.