Martedì 28 settembre

Ricevo dall’amico Ciro di Sulmona il seguente messaggio: “Caro Francesco, i vostri bollenti spiriti di camminatori,si sono scontrati con la montagna segreta, la Maiella. Il percorso da voi studiato è di difficile realizzazione ed in special modo in questo periodo. Lo faremo l’anno prossimo se Fra Pietro vuole”.

Rincuorati e divertiti dall’affettuoso messaggio, oggi siamo andati, seguendo le indicazioni della guida e della Forestale, in auto a Decontra, poi ancora in auto ci siamo inoltrati nel sentiero fino allo sbarramento della Forestale e di qui siamo andati a piedi, in un’oretta, fino all’eremo rupestre di San Giovanni.
La roccia dove sorge l’eremo è così scoscesa che chi ha le vertigini si ferma e torna indietro: così è successo al nostro povero Giovanni e ad un altro signore in cammino. I più coraggiosi riescono a proseguire e due (Martino ed il sottoscritto) anche a salire strisciando carponi fino alla grotta di fra Pietro da Morrone. Qui il futuro papa Celestino V ha soggiornato con i suoi compagni per nove anni, fino al 1292, cioè due anni prima di essere eletto pontefice, già ottantenne. Nel pomeriggio per consolazione accompagno Giovanni all’eremo di San Bartolomeo, che non era riuscito ancora a visitare: rivederlo mi ha convinto della bellezza straordinaria di questo posto, come degli altri, del resto, tutti scavati e scolpiti nella roccia.

Mercoledì 29 settembre

Abbandoniamo di nuovo l’itinerario previsto dalla guida e seguiamo il consiglio di p. Vito, Cappuccino che ci ospita gentilmente a Caramanico. Andiamo in auto a Serramonacesca, tornando indietro sul percorso dei giorni passati, che andava da Pretoro e Manoppello. Vicino a Serramonacesca c’è una bella Abbazia dedicata a San Liberatore di Maiella e, camminando una ventina di minuti su un sentiero in salita, si visita l’Eremo di Sant’Onofrio di Maiella. Al pomeriggio ci trasferiamo in auto a Sulmona, dove abbiamo l’appuntamento con i nostri amici di là, don Pasquale, Ciro e altri. Ci portano alla casa madre dell’ordine celestiniano, la grande Abbazia di Santo Spirito in Sulmona e poi all’Eremo di Sant’Onofrio sul Morrone, che domina Sulmona dall’alto: qui fra Pietro da Morrone passò tanti anni e qui ricevette l’annuncio della sua elezione a papa. Intorno ad un tavolo nell’edificio costruito attorno alla sua grotta ci siamo fermati quasi due ore a conversare con i nostri ospiti sul significato che ha e che potrebbe avere la straordinaria vicenda di questo santo frate, monaco, eremita, papa e di nuovo eremita, per noi oggi.

Venerdì 1 ottobre 2010, Santa Teresa di Gesù Bambino.

Una prima conclusione, a due giorni dal ritorno a casa dal viaggio in Abruzzo.

Sulle tre domande che mi ero posto riguardo alla vicenda di fra Pietro da Morrone, diventato papa Celestino V (Perché lo hanno eletto papa? Perché ha accettato? Perché ha lasciato?), ho ricevuto risposte esaurienti dall’amico Ciro, che però richiedono un po’ più di tempo e di spazio, rispetto a quanto posso permettermi in questo momento. Spero inoltre in un contributo scritto dello stesso Ciro.

Più in generale – lo dico anche alla luce del convegno di Napoli del 17-19 settembre scorso, a cui ho partecipato con Giovanni proprio i giorni immediatamente precedenti al giro intorno alla Maiella – oggi, come allora, la Chiesa e il mondo – di entrambe le realtà anche noi siamo parte – mostrano di avere una grande fame e sete di esperienze spirituali forti, di uomini e donne, che vivono nella preghiera, nell’ascolto assiduo della Scrittura, nella liturgia e nella vita comune, nel lavoro e nella sofferenza offerta.

Vi ripresento, a questo proposito, un commento che in questi giorni ci ha inviato il nostro Giovanni su Gesù e il fico sterile (Mt 21,18,22): “quel suo aver fame, di cui ci dice il ver.18. lo si può intendere all’interno della relazione d’amore che Dio stabilisce con il suo popolo, una relazione dove non può mancare una nota di reciprocità, come è di ogni relazione d’amore. Il Signore ha fame e sete di noi! Oppure si può intendere questa fame come il suo farsi carico e interpretare la grande “fame” del mondo: fame di salvezza e di pace. Fame di liberazione dal male e dalla morte, fame di vita nuova. Se ripensiamo un momento alla vicenda del tempio, ci può essere chiaro come la vecchia economia, appesantita da tante pesanti e inutili tradizioni degli uomini, sia ormai incapace di nutrire i bisogni e le attese della povera umanità che abbiamo visto rappresentata nel tempio dagli storpi e dai ciechi, e interpretata dalla lode dei bambini. Mi sembra che anche oggi questa domanda si debba porre: il mondo può ancora trovare nutrimento presso di noi cristiani, per le domande, i bisogni e i drammi del nostro tempo? In questo senso, sappiamo veramente accogliere la fatica della storia ed esprimere la volontà salvifica di Dio nei confronti dell’umanità, e il suo amore per ogni uomo e donna della terra? Gesù, affamato, non trova che foglie!”.

Un caro abbraccio a tutti. Francesco

Le cronache dalla Majella – prima parte

Le cronache dalla Maiella – seconda parte