18 Simone, vedendo che lo Spirito veniva dato con l’imposizione delle mani degli apostoli, offrì loro del denaro 19 dicendo: «Date anche a me questo potere perché, a chiunque io imponga le mani, egli riceva lo Spirito Santo». 20 Ma Pietro gli rispose: «Possa andare in rovina, tu e il tuo denaro, perché hai pensato di comprare con i soldi il dono di Dio! 21 Non hai nulla da spartire né da guadagnare in questa cosa, perché il tuo cuore non è retto davanti a Dio. 22 Convèrtiti dunque da questa tua iniquità e prega il Signore che ti sia perdonata l’intenzione del tuo cuore. 23 Ti vedo infatti pieno di fiele amaro e preso nei lacci dell’iniquità». 24 Rispose allora Simone: «Pregate voi per me il Signore, perché non mi accada nulla di ciò che avete detto». 25 Essi poi, dopo aver testimoniato e annunciato la parola del Signore, ritornavano a Gerusalemme ed evangelizzavano molti villaggi dei Samaritani.
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Con semplicità, ma con grande chiarezza, gli Atti mettono in evidenza un tema molto delicato che inevitabilmente visita sempre la vita del cristiano e della comunità dei credenti: il consegnarsi di Dio alla carne e alla storia dell’uomo espone sia la persona sia la comunità al pericolo di una distorsione molto grave. Ed è quello di capovolgere e stravolgere l’evento interpretandolo non come l’abbassamento di Dio nella nostra povertà, ma l’innalzamento dell’uomo, come una sua “sacralizzazione”, e l’acquisizione di poteri e potenze straordinari. E’ facile che si creino degli equivoci fino a venerare inopportunamente quello che, proprio per la visita divina, ancor più evidenzia la sproporzione tra il mistero divino e la nostra povera natura umana che Egli elegge come luogo della sua presenza. Permettetemi un piccolo esempio attraverso un’osservazione che in questi giorni mi veniva fatta da un fratello che osservava il modo in cui il Papa distribuiva la Comunione ai fedeli. Mi faceva notare che quando una persona si avvicinava a lui per ricevere il Corpo di Cristo, si inginocchiava. Si chiedeva questo mio fratello se non era inopportuno un atto di devozione nei confronti della mano che porgeva il Sacramento, osservando che se mai era da onorare la persona di chi assumeva in quel momento il Corpo del Signore. Chi doveva inginocchiarsi? Il fedele che riceve la comunione dal Papa, o il Papa che l’amministra? Certamente Pietro avvertiva il problema e in Atti 10,25-26 rialzava il pagano Cornelio che si era gettato ai suoi piedi per adorarlo. E lo rialzava con queste parole:”Alzati: anch’io sono un uomo!”. Il farsi carne del Verbo non è una sacralizzazione della carne ma è l’inabissarsi di Dio che pone la sua tenda tra noi e in noi.
Mi sono permesso di dilungarmi su questo anche per la conseguenza evidentemente grave che vediamo nell’episodio di Simone: il pensiero che, come tutti i poteri e le potenze di questo mondo, anche questa si possa conquistare o acquistare! E’ bene osservare con attenzione e senza sconti la reazione molto dura di Pietro. Lui, che abbiamo visto così severo e risoluto in Atti 5,1-11 davanti al comportamento dei due coniugi che rinunciavano alla libertà e rientravano in un regime di legge sino al dover mentire, ora mette Simone davanti alla gravità del suo pensiero e della sua proposta che riducono il dono di Dio ad un qualsiasi privilegio mondano. Ma attentare al dono di Dio, cioè alla grazia, è stravolgimento assoluto dell’evento cristiano. Tutto questo accompagna sempre la vita cristiana, e l’espone incessantemente al pericolo di considerare il dono di Dio come una conquista e una sacralizzazione dell’uomo.
Simone sembra sinceramente pentito. Il che non impedirà nella storia della Chiesa che il suo nome diventi la radice della parola “simonìa”, che è il fare delle cose di Dio un mercato.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.