Domani sera, alle ore 21, alla parrocchia di sant’Antonio da Padova (via della Dozza 5), con la conferenza di Giambattista Zampieri, inizierà il ciclo di incontri sul tema “Ma che cosa ha veramente detto Dossetti?” che vuole essere un ricordo affettuoso della figura di don Giuseppe Dossetti e un approfondimento critico di un pensiero teologico e storico di grande attualità e rilevanza.

L’incontro tra Zampieri, studioso ventinovenne di Dossetti, e i molto più anziani amici bolognesi di Dossetti, è avvenuto su una recentissima “tesi di laurea”, intitolata “All’ombra delle querce di Monte Sole, riflessioni sulla kenosi del monaco Giuseppe Dossetti al cospetto della storia e del mistero di Israele”. Relatore e correlatore di questo notevolissimo lavoro accademico sono i professori Piero Stefani e Mario Miegge, docenti nel corso di laurea in Filosofia della facoltà di lettere dell’università di Ferrara, studiosi qualificatissimi ma anche interpreti “militanti” delle problematiche religiose più intense di contemporaneità.

L’autore della tesi – e la cosa ha un suo significato – non ha conosciuto di persona Dossetti, ma, colpito anni fa dalla qualità della difesa della Costituzione italiana minacciata da interventi riformatori improvvidi (difesa morale e intellettuale cui Dossetti dedicò, come è noto, i suoi ultimi interventi pubblici), ne ha studiato con straordinaria acutezza le radici nell’antica vicenda politica, nelle motivazioni religiose già vivissime negli Anni 30 e negli indirizzi di pensiero più stabili e insistiti di questo italiano e cristiano singolare, per altri sessant’anni. Il giovane studioso Zampieri diventa così, di fatto, storico oggi tra i più convincenti e sistematici di una figura ricca di esperienze complesse e significative quale è stato Dossetti, personaggio indubbiamente isolato e controcorrente, sia nella Repubblica sia nella Chiesa cattolica, segnato da una grande, inconsueta (e ben poco ascoltata) energia di propositi e proposte.

Il testo della introduzione alle “Querce” viene analizzato, nella tesi di Zampieri, con una sensibilità complessiva più facile a trovarsi in un “postero” che in un contemporaneo: l’introduzione alle “Querce”, proprio per la sua obiettiva centralità e maturità “dossettiana”, è rivelativa dei fattori spirituali più attivi nell’opera e nel pensiero di “tutto” Dossetti. Non a caso la tesi di Zampieri mette l’accento sulla “kenosi del monaco”, e sulla selezione dei due scenari decisivi nel testo analizzato: il “cospetto della storia e il mistero di Israele”.

Naturalmente, l’acutezza e profondità di questa comprensione teologica del giovane Zampieri (che forse qualcosa deve anche agli indirizzi dei suoi maestri ferraresi Stefani e Miegge), è possibile proprio per la distanza cronologica, pari a tre generazioni, che lo divide da avvenimenti e pensieri quali si sono dati distesi nel tempo che fu quello di Dossetti vivo, pensante e parlante. Guardare da lontano può permettere di vedere più in profondità e con più evidenza le connessioni che hanno agito, e che ai contemporanei possono riuscire invece frammiste, e nascoste, da altre storie, interpretazioni, contesti.

E’ quanto, a mio parere, è avvenuto, ad esempio, ad un altro e diverso estimatore di Dossetti, quale fu il nostro cardinale e arcivescovo Giacomo Biffi, interlocutore importante e indubbiamente ben disposto nei confronti di Giuseppe Dossetti, quando il dopoguerra prima e poi la diocesi di Bologna furono il “contenitore” di entrambe queste notevolissime figure di cristiani, appassionatamente “teologiche” ed entrambe appassionatamente “italiane”, ma distinte e separate proprio per l’interpretazione che tutt’e due dettero, in direzioni tendenzialmente divaricate, sia di guerra e dopoguerra sia della situazione ecclesiale e, quindi, del maggior evento culturale del XX secolo e cioè il Vaticano II, crocevia di responsabilità (e fatiche e problemi ) di un nostro cammino di unità e di globalizzazione.

Con buona pace di quanti, a Roma e Bologna, amano polemizzare con insistenza che a me pare eccessiva, “contro” il relativismo, proprio la vicenda di due autorevolissimi e impegnati cattolici quali sono tra noi, Biffi e Dossetti, dice quanto di relatività esista forte e significativo ovunque, anche nel più unitario e acceso amore per Dio e per la sua chiesa…

Tra le cose “serie”, in questo dicembre che a Bologna è così largamente dossettiano (il Mulino e Alberto Melloni portano in libreria una parte consistente degli Atti del convegno svoltosi l’anno scorso; coraggiosamente don Nicolini, alla “scuola rurale”, vanto e gloria della parrocchia di Sammartini, inizia a leggere in dieci sabati sera, fino al 29 febbraio, proprio il testo dell’introduzione alle “Querce”: e ora anche i cinque “giovedì della Dozza” che si inaugurano domani sera), sicuramente sono, in primo luogo, proprio le “cose vecchie” di cui si parlerà con affetto e con impegno.

Ma anche questa tensione attenta di ora, con la sua libera pluralità di approcci, anche concorrenti e dialogici, è una cosa seria e buona. La vedo e spero viva, nel 2007 e oltre. Lo è, lo può essere, nella misura grande in cui il relativismo delle ricerche umane è cosa seria e giusta. Per chi non crede in Dio, sicuramente; ma forse anche più doverosamente per chi creda nella sua realtà unica, trascendente (come si dice nel catechismo), e assolutamente incomparabile.

Fonte: Il Domani di Bologna. Rubrica “A mio parere” di Gigi Pedrazzi