Articolo pubblicato su “Bologna Sette” di domenica 8 novembre 2015.

Monsignor Matteo Maria Zuppi (Foto da "Bologna sette")

Monsignor Matteo Maria Zuppi (Foto da “Bologna sette”)

Dall’ampia intervista che ci ha concesso un primo identikit dell’arcivescovo eletto.

A colloquio con Zuppi
(
di Chiara Unguendoli)

Vangelo, carità, cultura, ma anche attenzione verso i poveri e misericordia, «vera medicina»: così il nuovo Pastore della Chiesa bolognese riflette su alcune priorità.

«Sono stupito per la nomina ad arcivescovo di Bologna – sottolinea monsignor Matteo Maria Zuppi – pensando a me, alla mia persona, alla mia debolezza. Per cui credo che soltanto la fiducia del Papa e, sono certo, la Grazia che il Signore non farà mancare, mi farà superare la consapevolezza dei miei limiti.

Come non avrei mai pensato di diventare vescovo, non avrei mai pensato di venire a Bologna. È lo stesso stupore».

Come è nata la sua vocazione sacerdotale?

La mia vocazione è strettamente legata alla Comunità di Sant’Egidio, che ho cominciato a frequentare quando ero ancora al liceo.

Un’esperienza che mi ha portato, come altre esperienze tipiche di quegli anni, alla scoperta della comunità, di una dimensione del Vangelo legata all’esperienza e al dato di un’appartenenza dei laici alla Chiesa. L’incontro con la comunità è stato per me l’incontro con un Vangelo vivo, che aveva qualcosa da dire: portavamo il vangelo a scuola, in senso anche stretto. Il Vangelo quindi non era più soltanto qualcosa legato alla domenica o alla tradizione familiare ma aveva qualcosa da dire, per di più in un contesto così acceso, passionale, turbolento, innovativo, con qualche mania di onnipotenza, ma certamente con grande protagonismo e con una grande responsabilità giovanile. Mi sono laureato in Lettere moderne e ho iniziato a studiare Teologia. E poi ho scelto di diventare prete.

L’appartenenza a una comunità di laici, con un carattere anche profondamente laico, per me è stato indubbiamente un vantaggio nel comprendere il servizio del prete, sempre e comunque legato a una dimensione comunitaria. Non isolato. Il ministero ha senso in un’esperienza di fraternità, non teorica ma concreta.

Lei ha una lunga esperienza pastorale, vissuta a Roma, ma con aperture anche internazionali. Come le servirà questa esperienza nel suo nuovo mandato?

Come serve ogni esperienza ecclesiale in assoluto – tanto più oggi – a vivere in un confine largo.

Non si può pensare un confine largo senza entrare in una situazione e incanalarsi in essa.

Come certamente sarà per me vivere pienamente la condivisione con la Chiesa di Bologna. In un mondo che si è fatto incredibilmente piccolo, con un mondo che entra continuamente dentro casa, la Chiesa che ha sempre avuto il cromosoma dell’universalità deve metterla in pratica: parrocchie aperte al vasto mondo, in cui unire assieme le due dimensioni quella del territorio e quella dei confini della terra.

Bologna peraltro credo abbia una tradizione antichissima di formazione, accoglienza, legami, cultura da accogliere e da donare.

Per questo certamente mi sarà d’aiuto vivere in una città che ha una tradizione così antica di relazione, di una sapienza che va oltre il territorio, il proprio limite.

Quando ci si chiude troppo nel territorio si finisce per non capirsi.

È analogo a quando papa Francesco dice: se ci si chiude ci si ammala. È vero in termini personali, è vero come comunità qualunque essa sia, è vero anche come città. Quando ci si chiude si prendono brutte malattie.

Quale aspetto del magistero di papa Francesco le è di maggiore ispirazione?

Il senso dell’apertura della Chiesa, dell’urgenza del Vangelo.

Dell’apertura della Chiesa che parla con tutti, che si rimette in dialogo con chiunque senza sentirsi minoritaria, in debito, senza sudditanze, senza arroganze, e con la serena convinzione che il vangelo risponde alla vera domanda degli uomini. E che quindi uscire, parlare, incontrare, ascoltare, dialogare e testimoniare darà dei frutti. Questa consapevolezza di una gioia che comunica vita e che svela la presenza di Dio nel mondo mi sembra quello che papa Francesco vive e che ci aiuta a riscoprire.

Cosa si attende di poter imparare dal popolo bolognese?

Certamente una storia così antica e recente di una Chiesa viva, con tante esperienze nel sociale, con tante esperienza di condivisione. Credo che la Chiesa di Bologna come ogni realtà ecclesiale ci faccia sempre scoprire la novità del Vangelo. Cose vecchie e cose nuove che l’uomo saggio deve saper estrarre dal tesoro enorme rappresentato dalla presenza di Dio tra gli uomini.

Quali frutti si attende di raccogliere dalla «seminagione» di chi l’ha preceduta a Bologna?

Ho la profonda consapevolezza che tutti noi raccogliamo quello che altri hanno seminato. Il Signore ci manda dove altri hanno seminato.

E sono consapevole, venendo a Bologna, che eredito tanto. Spero anche di riuscire a seminare qualcosa che poi altri possano raccogliere. Cosa mi aspetto di raccogliere? Credo che questo sia davvero sempre una scoperta. A volte anche imprevedibile, perché i frutti del Vangelo non sono immediati.

Cosa vorrà dire concretamente guardare insieme il mondo e ogni uomo con quella «simpatia immensa » di cui ha parlato «volendo la Chiesa di tutti, proprio di tutti, ma sempre particolarmente dei poveri»?

La «simpatia immensa», espressione di Paolo VI che l’8 dicembre di 50 anni fa la usò per spiegare qual era la scelta della Chiesa e quale è la scelta oggi.

«Simpatia immensa» è un atteggiamento che deve nascere dalla profonda convinzione che dobbiamo scoprire l’altro e che c’è tanto, tanto anche di bello, che dobbiamo saper vedere. «Simpatia immensa» produce simpatia. La misericordia produce misericordia.

La vera medicina è quella della misericordia, mentre molte volte siamo molto più attenti a scoprire quello che non va e a mettere in risalto le difficoltà. Dobbiamo imparare a guardare le cose che non vanno sempre con tanto amore e tanta attenzione e sensibilità. La Chiesa è di tutti, nessuno escluso. E particolarmente dei poveri.

Attenzione, vicinanza e legame con i poveri è quello che ci permette di essere davvero di tutti.

Il suo ingresso coinciderà con l’inizio, nella nostra Chiesa, dell’Anno Santo della misericordia. Qual è secondo lei il significato profondo di questo Anno Santo?

Coi bolognesi lo scopriremo assieme. Credo che questo Anno santo della misericordia sia per me e noi tutti una grande benedizione.

Abbiamo tutti bisogno di misericordia cioè di rinnovamento, di recupero di questa dimensione affettiva, personale, umana, del nostro rapporto con il Signore e con l’altro. Quello che potrà significare l’Anno Santo sarà una importantissima scoperta perché c’è nella misericordia la capacità di renderci grandi, e di fare cose grandi per il Signore.

Lei ha parlato della bellezza e dell’importanza della tenerezza, anzi della ‘teneressa’, come la pronunciamo noi bolognesi. Perché questo atteggiamento del cuore è tanto importante?

Il Signore nel Vangelo parla al cuore. E il Vangelo non è un ordine di servizio.

Senza il coinvolgimento del cuore che illumina la mente e la ragione non si può essere cristiani. Il Vangelo è molto più di una regola, è una storia appassionante di amore imprevedibile che se non coinvolge il cuore rischia di esser ridotta a una regola sterile.

Bologna ha una forte vocazione alla cultura, espressa espressa anche dall’università. Come pensa di rapportarsi a questa realtà?

L’incontro con la cultura, la sapienza e la ricerca è fondamentale. Per guardare assieme alle grandi sfide in cui tutti siamo coinvolti, con angolature diverse, ma tutti con la stessa preoccupazione, in quella che papa Francesco chiama ‘la casa comune’. Dobbiamo ritrovare l’eredità straordinaria dell’umanesimo che stiamo perdendo. Lo stiamo svendendo o per tranquillità a poco prezzo (e stiamo sbagliando) o per paura perché la paura ci rende disumani.

Si pensa che l’umanesimo sia roba da ricchi o da signori, umanesimo è la vera eredità per non essere travolti dal mondo.

Un altro settore nel quale la nostra Chiesa si è sempre distinta è quello del sociale. Quale ritiene che sia il compito della Chiesa?

Dalla Chiesa nasce il ‘sociale’. La Chiesa non vive in astratto e l’amore diventa scelta, impegno, intelligenza alle tante domande sulla povertà vicine e lontane.

Grande è la presenza di Bologna nelle missioni. Non presenza di specialisti ma deve appartenere a tutti. Questa grande storia di presenza sociale si ritrova nuove sfide in un mondo che cambia rapidamente.

Il 12 dicembre l’ingresso.
L’ Uffico stampa dell’arcidiocesi in un comunicato ha reso noto che: «Monsignor Matteo Maria Zuppi, arcivescovo eletto dell’Arcidiocesi di Bologna, farà il suo solenne ingresso sabato 12 dicembre prossimo nel pomeriggio secondo il seguente programma di massima, che verrà precisato successivamente: arrivo e accoglienza dell’arcivescovo, saluto alla città, cui seguirà la prima Messa Solenne dell’Arcivescovo, con il rito di apertura della Porta Santa della Cattedrale, che segna l’inizio in diocesi del Giubileo della Misericordia».